Dirigenza pubblica: serve nuova cultura e mentalità ma anche fiducia

Non si può che condividere l’analisi e… le preoccupazioni del presidente di Forum PA, Carlo Mochi Sismondi, riguardo alla ‘riforma Madia’ della dirigenza pubblica. Gli aspetti più innovativi sono infatti quelli più osteggiati, come in ogni progetto di riforma: l’eliminazione dei ruoli separati introdotti nel 2004, a seguito dello smantellamento della riforma Bassanini, e la sostanziale cancellazione della dirigenza come status. Essere dirigente significa semplicemente avere un incarico dirigenziale che dura quattro anni, dopo una selezione pubblica tra tutti gli aspiranti in possesso delle  specifiche competenze e qualità per  quel posto. L’incarico può essere rinnovato per al massimo un biennio, poi ritorna la selezione.

Il problema è che la volontà politica ha la necessità di incontrare la condivisione,  e la condivisione ha come presupposto fondamentale la fiducia. Ma la fiducia è la merce più rara di questi tempi: la politica non ha fiducia negli apparati burocratico amministrativi (se non tenendoli ‘legati’ a sé come purtroppo sappiamo… a nostre spese) considerati apertamente ‘conservatori, burocrati, pietre d’inciampo di ogni riforma e zavorra del paese’. I dirigenti e le loro associazioni dimostrano la stessa ‘fiducia’ e considerazione nei confronti della politica. I dipendenti, dal canto loro, non nutrono certo fiducia e stima nei confronti dei propri dirigenti trovandosi nella posizione privilegiata del poterne osservare  da vicino i comportamenti e le reali capacità. I dati sul ‘benessere organizzativo’ nella PA ne sono la chiara conferma. Infine vediamo dilagare la sfiducia dei cittadini, tanto nella politica quanto nella dirigenza, che è direttamente responsabile della cattiva amministrazione e del livello, così spesso insoddisfacente, dei servizi.

Il problema è, in primo luogo, culturale: si tratta di comprendere che il pubblico dipendente serve al Paese se sa fare e si preoccupa del bene del paese, possiede senso etico e sa mantenere l’indipendenza della propria competenza,  sa riconoscere il ‘bene comune’ e sa perseguirlo… non soltanto a parole.