Dimissioni Fioramonti: la scuola Cenerentola finisce nel caos
Le dimissioni del ministro dell’istruzione, università e ricerca Lorenzo Fioramonti sono un fatto pressoché inedito per il palazzo della Minerva: ricordiamo un solo precedente, peraltro illustre, quello dell’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che nel luglio 1990 si dimise da ministro della Pubblica Istruzione insieme ad altri quattro ministri della sinistra DC non condividendo la linea assunta dal Governo (presieduto da Giulio Andreotti) favorevole alla legge Mammì sul sistema radiotelevisivo. Altri tempi.
Le dimissioni del grillino Fioramonti sono la conseguenza di questioni di principio sulle scelte del paese – come il diretto interessato ha evidenziato – o anche di meno “alti” riposizionamenti nello scacchiere politico, in particolare all’interno del partito a cui appartiene il ministro (o ex ministro, se le dimissioni verranno accettate dal premier Conte)? Al momento non è chiaro. Quel che è certo è che dal punto di vista operativo e organizzativo creano forti criticità per il sistema di istruzione. Inoltre dal gesto di Fioramonti risuonano in maniera assordante alcune verità, peraltro ben note.
In primo luogo il ruolo di Cenerentola assegnato all’istruzione e alla formazione nel nostro paese. Come aveva scritto Tuttoscuola nel report “Il dibattito sulla crisi e sul futuro del Paese: la grande assente è la scuola. Eppure c’è un grande opportunità…”, pubblicato nei giorni in cui si stava costituendo la nuova maggioranza giallorossa. Facevamo un appello alla politica: la scuola sia posta al centro dell’agenda del Paese, andando oltre l’ottica di breve periodo. Le dimissioni di Fioramonti certificano che, ancora una volta, l’appello è caduto nel vuoto.
Ha scritto Fioramonti nel post con il quale ha reso pubbliche le dimissioni: “L’economia del XXI secolo si basa soprattutto sul capitale umano, sulla salvaguardia dell’ambiente e sulle nuove tecnologie; non riconoscere il ruolo cruciale della formazione e della ricerca equivale a voltare la testa dall’altra parte. Nessun Paese può più permetterselo. La perdita dei nostri talenti e la mancata valorizzazione delle eccellenze generano un’emorragia costante di conoscenza e competenze preziosissime, che finisce per contribuire alla crescita di altre nazioni, più lungimiranti della nostra. È questa la vera crisi economica italiana”.
Su questo non si può non essere d’accordo. La domanda diventa: se si arriva sulla plancia di comando del sistema di istruzione con questa giusta priorità in testa e si è pronti a lottare con tutte le forze, è il caso di mollare dopo pochi mesi, mettendo ancora più in difficoltà un settore che ha bisogno di continuità di azione?
E veniamo al secondo punto: l’assenza di una visione strategica sul modello educativo che vogliamo, se non oggi, tra 10 o 20 anni. Qual è il progetto? Dove sono le idee e il dibattito? Perché non si esce dalle logiche di emergenza e di corto respiro, dalla tutela degli interessi delle singole sottocategorie, e non si pensa a come costruire un percorso che porti tra qualche lustro (perché questa è la tempistica per effettuare cambiamenti sostanziali del sistema di istruzione) a realizzare la scuola che sogniamo, di cui il paese ha un estremo bisogno?
Negli ultimi 6 anni si sono avvicendati a Viale Trastevere ben cinque ministri. Qual è stata la continuità della loro azione? Quale disegno strategico hanno concorso a realizzare? Nelle due legislature in cui hanno operato, quale idea di scuola è stata discussa in Parlamento?
Di questo passo non ci si può lamentare se il 30 per cento degli italiani è analfabeta funzionale (addirittura il doppio della media europea) o se il 35% degli alunni di terza media non è in grado di comprendere un testo in italiano. Andrà ancora peggio, mentre la deriva in cui si trova il paese continuerà inesorabilmente, perché l’inversione di rotta passa (anche) da un sistema formativo forte e competitivo. Che è ben lontano non solo dall’essere realizzato, ma prima ancora dall’essere immaginato, progettato, discusso e condiviso. E poi realizzato da chi di volta in volta si troverà a governare, senza continuamente disfare e ritessere la tela mentre le esigenze e le aspettative della società che corre sempre più veloce e le caratteristiche quasi immobili del sistema di istruzione divergono sempre di più.
L’uscita di scena di Fioramonti crea notevoli problemi operativi per il funzionamento della scuola. Passiamo in rassegna i principali.
Oltre a diverse questioni che riguardano la scuola (dispersione scolastica, formazione dei docenti, stabilizzazione del sistema, procedure di avvio del prossimo anno scolastico, ecc.) ce ne sono alcune nuove conseguenti al recente decreto legge 126 sul salva precari e alla legge di stabilità (entrambi attesi alla pubblicazione in GU nei prossimi giorni). Tra questi:
– Regolamenti dei concorsi per nuovi dirigenti tecnici e per insegnanti di religione cattolica (il primo e unico concorso si è tenuto ben 15 anni fa).
– Eventuale integrazione degli attuali regolamenti dei concorsi (ordinario per docenti infanzia, primaria e secondaria, per 48 mila posti complessivi, e concorsi straordinari per scuola secondaria di primo e secondo grado) a seguito delle modifiche introdotte dal DL 126/19 (es. candidati in corso di specializzazione per il sostegno)
– Decreto per definire l’attuazione della nuova legge sull’educazione civica
– Decreto per individuare i settori universitari preposti alla formazione della didattica digitale e alla programmazione informatica (coding).
– Decreto per nuova regolamentazione sulla sicurezza (molta attesa dai dirigenti scolastici)
– Utilizzo delle nuove risorse per la sicurezza degli edifici scolastici
– Regolamentazione dell’impiego del bonus docenti a favore di tutto il personale
– Stabilizzazione di una quota di posti per il sostegno pari ad oltre mille unità (un pannicello caldo per coprire gli oltre 73 mila posti in deroga, cioè assegnati ai precari)
– Decreto per la distribuzione di 390 posti dell’organico potenziato a favore della scuola dell’infanzia.
– Indicazioni per la formazione dei docenti per l’inclusione e la prevenzione del bullismo.
– Modalità di incremento del piano nazionale della scuola digitale (sul quale si scontano crescenti ritardi)
– Accordo per l’impiego di fondi di edilizia scolastica per asili nido e scuole dell’infanzia.
– Concertazione interministeriale per la definizione degli obiettivi per il rinnovo del CCNL
Le dimissioni del ministro impattano su tutti questi fronti, ai quali si aggiunge una situazione critica delle Direzioni generali del Ministero, che erano già in attesa di nuovi vertici. Le domande vanno presentate entro il 27 dicembre, ma senza un Ministro che scelga e sottoscriva le nomine, la macchina ministeriale resta bloccata. Chi firmerà i vari decreti direttoriali, salvo quelli più urgenti, per i quali subentrano i Capi dipartimento del Miur?
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