
Il 50 per cento dell’olio “italiano” venduto nei supermercati è spremuto da olive di cui non si conosce la provenienza. Infatti non è stato ancora applicato l’obbligo di indicare sulle etichette dell’extravergine la zona di coltivazione delle olive (anziché quella di imbottigliamento!) previsto dalla legge 204 del 2004.
Da qui l’iniziativa “Difendiamo l’etichetta! Vogliamo conoscere l’origine dei prodotti che mangiamo” lanciata da Slow Food e Coldiretti, che è stata presentata nel corso di una conferenza stampa a Vinitaly/SOL, salone veronese del vino e dell’olio di qualità.
L’Unione Europea ritiene che riportare in etichetta l’origine degli alimenti sia di ostacolo al libero mercato e alla concorrenza. Il disegno di legge comunitaria 2007, in discussione nel nostro Parlamento, prevede quindi l’abrogazione di alcuni articoli che impongono l’apposizione della dicitura “italiano” sulle etichette dell’olio, della pasta, delle bevande, delle carni bianche e di altri prodotti tipici dell’agro-alimentare del nostro Paese. Il provvedimento deve però ancora passare all’esame del Parlamento ed è quindi ancora possibile fermarlo. Una necessità per impedire un inganno che – sottolineano Coldiretti e Slow Food – mette a rischio la produzione nazionale di qualità e con essa i 250 milioni di piante, molte delle quali secolari, che contribuiscono alla bellezza del paesaggio e alla salute del nostro ambiente.
Gli italiani sono tra i principali consumatori mondiali di olio di oliva con circa 13-14 chili per persona all’anno e l’Italia con le sue 600mila tonnellate è il secondo produttore europeo; dispone di 37 oli extravergini riconosciuti dall’Unione Europea. Ma la chiarezza non va a beneficio solo dell’Italia: Slow Food e Coldiretti chiedono che la 204 venga difesa e che si avvii una riflessine generale sulle questioni alimentari non solo riguardo alle esigenze italiane ma tenendo presente anche le istanze degli altri Paesi, in particolare di quelli le cui economie sono più deboli.
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