Un mese fa è entrato in vigore il decreto legge n. 93 del 14 agosto 2013 “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”. È il cosiddetto decreto sul femminicidio che contiene misure rivolte alla “prevenzione e contrasto della violenza di genere”.

Entro metà ottobre il decreto dovrà essere convertito in legge, ma soprattutto, come da diverse parti viene detto, dovrà essere modificato e integrato conferendogli una caratterizzazione che superi l’aspetto di emergenza e di urgenza che la stessa natura del provvedimento gli ha dato.

La violenza maschile sulle donne non è soltanto un fenomeno criminale da condannare e reprimere. Il fatto che le cronache di tutti i giorni parlino di violenze e di abusi sulle donne non significa che la nostra società stia attraversando un momento particolarmente critico, di emergenza, appunto, a cui si debba porre rimedio immediato con pene severe. Anche questo.

Ma la violenza sulle donne è piuttosto il risultato negativo di una cultura che ha radici lontane e che, negando la parità di genere, pone le premesse per il non rispetto dell’altra e della sua dignità.

L’art. 3 della Costituzione afferma la pari dignità sociale di tutti i cittadini e la loro uguaglianza senza distinzione di sesso. Ma afferma anche che è “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

La rimozione degli ostacoli alla parità di genere sta soprattutto in una azione di prevenzione che potrebbe essere affidata anche alla scuola, chiedendole azioni concrete e costanti per educare gli alunni alla parità di genere e all’uguaglianza. Per questo potrebbe essere opportuno intervenire con appositi pacchetti formativi per gli insegnanti (soprattutto del primo ciclo).