Ddl Zan, l’acqua e il bambino

L’epilogo del ddl Zan, naufragato in un clima di scontro tra intransigenze contrapposte, cori da stadio e polemiche feroci, è un caso esemplare di mal funzionamento di un’istituzione, come il Parlamento, che in un Paese ad ordinamento liberal-democratico come l’Italia dovrebbe essere preposto al confronto e alla discussione.

Eppure, non sarebbe stato impossibile evitare di “buttare l’acqua sporca con il bambino” – l’acqua sporca di alcune norme ambigue e di una incostituzionale limitazione della libertà di pensiero – con il bambino del sacrosanto diritto di ciascun cittadino a non essere discriminato, o peggio, per il suo orientamento sessuale. Che il peggio potesse accadere lo avevamo segnalato già nello scorso mese di maggio, mentre su alcune rischiose ricadute ‘scolastiche’ del ddl Zan nella sua formulazione approvata alla Camera eravamo tornati nel mese di luglio. C’era tutto il tempo per provare a trovare una soluzione largamente condivisa, ma hanno prevalso i falchi all’interno dei due schieramenti: quelli che hanno fatto dell’intoccabilità del ddl un pretesto (o una ragione politica) per aggregare su posizioni intransigenti lo schieramento avverso al centro-destra, da una parte, e quelli che non erano interessati a trovare una soluzione ma solo a far cadere il ddl con tutti i suoi contenuti (tutti, non solo quelli discutibili) dall’altra.

Ora, per ragioni procedurali, il ddl Zan non potrà essere riproposto nello stesso testo prima di sei mesi, e comunque rischierebbe di riprodurre conflitti più che confronti, anche nella scuola. Però potrebbe essere la base di partenza per un nuovo ddl che ne potrebbe recuperare tutte le parti volte a salvaguardare la libertà di orientamento sessuale, che ha un solido fondamento costituzionale (art. 3 Cost.), eliminando i punti più discutibili, come quello sull’autodeterminazione del genere “anche se non corrispondente al sesso” e soprattutto l’insostenibile art. 4 (Pluralismo delle idee e libertà delle scelte) che subordina “la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte” alla condizione che esse non siano “idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Una norma che nella sua indeterminatezza avrebbe potuto dar luogo, se approvata, a infinite interpretazioni, con annessi contenziosi.

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