Ma tu di che gender sei? Una polemica insensata

Ha destato scalpore, in tempi di aspro dibattito sulla legge Zan (che, se approvata dal Senato nello stesso testo della Camera, prevedrebbe fino a 4 anni di reclusione per chi istiga a commettere discriminazioni o violenze di stampo omofobo, in analogia con quanto già previsto per quelle di stampo razzista), l’invio alle scuole del Lazio, da parte dell’USR diretto da Rocco Pinneri, di una circolare intitolata “Strategie di intervento e promozione del benessere dei bambini e degli adolescenti con varianza di genere: trasmissione Linee guida elaborate dal Servizio per l’Adeguamento tra Identità Fisica e Identità Psichica (SAIFIP) dell’Azienda Ospedaliera San Camillo”. Tema sul quale le scuole erano invitate a promuovere iniziative di formazione per gli insegnanti.

Immediate le proteste delle associazioni dei genitori cattolici, e rapido (24 ore) il ritiro della circolare, giustificato però da ragioni procedurali, non di merito. La questione su cui interveniva la circolare, in effetti, era delicatissima, perché sembrava prendere posizione in modo netto a favore dei sostenitori della cosiddetta (dagli avversari) “teoria del gender” (gender theory, di importazione nordamericana), in base alla quale l’identità degli individui non è stabilita dal loro sesso biologico (sex) ma dalla loro auto-percezione psicologica (gender), che è frutto dell’interazione sociale. Di qui la giustificazione di ogni forma di sessualità diversa dalla tradizionale distinzione maschio-femmina, che in alcuni Paesi ha anche ottenuto riconoscimento giuridico.

Su questa delicata materia andrebbe fatta la massima chiarezza: un conto è che gli insegnanti (tutti) vengano messi in condizione di conoscere e sapere come gestire questa problematica (sarebbero opportune linee guida nazionali, non regionali), in collaborazione con le famiglie, altro è irrigidire in una norma astratta e decontestualizzata, come finisce per fare il ddl Zan, la rilevanza penale delle violenze o discriminazioni “omofobe”. Come dovrebbe comportarsi un insegnante che assiste alla bullizzazione di un alunno per ragioni omofobe? Dovrebbe denunciare gli aggressori, e magari anche i loro genitori se li difendono? Su questo ci sembra che abbia ragione Iuri Maria Prado, che in un articolo pubblicato su Linkiesta di sabato 22 maggio sostiene che “chi fa violenza su un omosessuale lede un diritto che con l’omosessualità non c’entra proprio niente, vale a dire il diritto della persona di non subire violenza”. Diritto di qualunque persona, omo, bi, trans e quant’altro. Che è proprio quello che gli insegnanti devono insegnare e gli alunni imparare. Una norma etica da interiorizzare, non una norma penale “speciale” per i “diversi”.

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