Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

Davvero il sostegno si fa alla classe e non al ragazzo disabile?

Fanno discutere le dichiarazioni del sottosegretario all’istruzione, Davide Faraone, il quale, parlando dei docenti di sostegno per gli alunni con disabilità, dopo avere dichiarato, tra l’altro, che “nell’ambito della delega sul sostegno, stiamo lavorando per far sì che l’inclusione scolastica sia effettiva e non lasciata alla buona volontà di un insegnante di sostegno, seppur specializzato”, ha sintetizzato il suo pensiero, affermando che vi è “inclusione reale solo se tutti ne siamo responsabili, ciascuno per la propria parte” e ha aggiunto anche che “Il sostegno si fa alla classe e alla scuola, non al ragazzo disabile”.

Non c’è dubbio che l’integrazione dell’alunno disabile deve vedere corresponsabili e concretamente coinvolti tutti i soggetti con i quali il ragazzo con disabilità entra in relazione. E che quindi l’inclusione non debba essere affidata soltanto alla buona volontà e alle competenze del docente di sostegno con il rischio che il suo intervento possa portare alla separazione dell’alunno dai compagni.

Ma l’affermazione secondo cui “Il sostegno si fa alla classe e alla scuola, non al ragazzo disabile”, ha bisogno di una precisazione che vada ben oltre la semplice dichiarazione ad effetto, a cominciare dalla considerazione che il sostegno viene assegnato in presenza di alunni con disabilità, ma non per le criticità della classe.

C’è piuttosto da capovolgere l’assunto: è la classe e la scuola che devono fare da sostegno all’alunno disabile.

Faraone ha anche affermato che “se qualcosa non va nel sostegno ai ragazzi disabili va migliorata. Ma non ripristinando vecchie impostazioni di comodo”. Giusto. Si cominci, ad esempio, a correggere il vincolo quinquennale di permanenza nel sostegno, prevedendo che esso coincida con la permanenza del docente sulla medesima scuola, per assicurare continuità didattica ai disabili. 

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