Dall’altro lato. Il declinarsi di una didattica inclusiva

Di Giorgia Capparucci  e Giovanni Cogliandro*

Nelle scorse settimane gli alunni di una classe quinta della scuola Mozart di Roma hanno realizzato un progetto di sensibilizzazione e avvicinamento al mondo della disabilità con lo scopo di raggiungere la piena immedesimazione degli alunni nell’esperienza di un loro pari, sperimentando cosa significa vivere con una disabilità, cambiare il proprio Standpunkt, il punto di vista da cui osserviamo il mondo. I passaggi significativi sono stati il percorso lungo la storia dell’inclusione scolastica e lo studio dei diritti e dei doveri legati al tema della disabilità, menzionando le leggi e le normative in merito. È stato approfondito il tema dell’evoluzione del processo di inclusione dei bambini con disabilità nel sistema educativo, partendo dagli anni ’60, quando gli alunni disabili erano spesso esclusi dalla scuola, passando per gli anni ’70 e ’80, con i primi tentativi di inserimento nelle classi fino ad arrivare al lemma “integrazione” tipico degli anni ‘90, concludendo con gli anni 2000 quando è iniziato il vero processo di inclusione, in cui si riconosce che ogni alunno è unico e ha diritti e bisogni propri e la persona viene messa al centro dell’azione educativa.

Le attività di educazione fisica hanno rappresentato un altro passaggio fondamentale del percorso. Durante queste lezioni, i bambini sono stati messi nella condizione di vivere esperienze di difficoltà, come non poter svolgere alcune attività senza l’aiuto di un compagno o di non poterle svolgere affatto. Queste simulazioni hanno aiutato gli alunni a comprendere più concretamente cosa significhi affrontare delle barriere, non solo fisiche ma anche relazionali e sociali, e a riflettere sull’importanza di abbatterle, creando un ambiente inclusivo in cui tutti possano partecipare liberamente.

Nella classe di riferimento è presente un alunno affetto da una grave patologia che raramente gli ha permesso di frequentare la scuola. Il bambino ha usufruito di un progetto di educazione domiciliare e solo in alcune occasioni ha avuto modo di interagire direttamente con i compagni. La maggior parte delle volte, invece, si relazionava con loro attraverso collegamenti online in presenza della docente di sostegno.

Per avvicinare la classe alla sua esperienza e come testimonianza del fatto che, utilizzando gli strumenti giusti e il linguaggio adeguato ogni bambino è in grado di lavorare, è stata svolta una lezione in cui la docente di sostegno ha mostrato ai compagni tutto il lavoro svolto con l’alunno durante l’anno.

Ha spiegato come, pur seguendo lo stesso programma, siano state utilizzate metodologie differenti e adatte alle esigenze del bambino. È stata sottolineata l’importanza di utilizzare un linguaggio semplice e adatto ai bisogni e al vissuto della persona per dare a tutti la possibilità di comprendere e imparare.

Partendo da queste riflessioni, la classe ha poi preparato una lezione di geografia, che è stata presentata al loro compagno. I bambini, dopo aver compreso le modalità adatte per comunicare e condividere il sapere, si sono impegnati a usare un linguaggio semplice e a strutturare la lezione in modo che fosse accessibile a tutti. È stato un momento molto speciale, in cui ciascun bambino ha avuto la possibilità di essere insegnante e di prendersi cura dell’altro, contribuendo così a costruire un legame di empatia e collaborazione reciproca.

Il progetto si è concluso con un compito di realtà, che ha visto gli alunni raccogliere le loro riflessioni in un volantino, poi distribuito in tutte le classi della scuola primaria. Non si è trattato solo di uno strumento di sensibilizzazione, ma di un’opportunità per i bambini di raccontare a tutta la scuola cosa avevano imparato e come avevano vissuto questa esperienza di condivisione e crescita.

In questo percorso è emerso un concetto fondamentale: troppo spesso si discute di disabilità e inclusione, termini che spesso appaiono caratterizzati da estrema vaghezza semantica che purtroppo perdono per via della loro eccessiva estensione la concretezza di una pedagogia efficace e di azioni concrete.

Ancora alcuni docenti, in particolare nella scuola secondaria, tendono a considerarli temi lontani, che non li riguardano direttamente, ma in realtà l’inclusione e la disabilità riguardano ognuno di noi, come società e come individui. in tutte le classi le diversificazioni cognitive e relazionali si moltiplicano e si moltiplicano allo stesso tempo le richieste delle famiglie di una maggiore attenzione verso i loro figli, con un’azione didattica che a nostro parere non può essere delegata all’opera degli psicologi, pur apprezzabile, ma che non può nostro parere mai rimpiazzare l’azione didattica e la costruzione della personalità e della cittadinanza per come avviene in classe.

È nostro diritto e nostro dovere imparare a conoscere la disabilità, comprendere profondamente cosa significhi essere inclusivi e rispondere ai bisogni degli altri con rispetto e attenzione.

La costruzione di un percorso di condivisione a nostro parere inizia necessariamente nella scuola primaria o nella scuola dell’infanzia, con pratiche volte a costruire una scuola e una società veramente inclusive, dove la diversità è un valore e ogni persona ha la possibilità di esprimere sé stessa senza ostacoli.

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*IC Mozart (Roma)

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