Dal diario del primo giorno di scuola di una maestra precaria: aspettando di sapere cosa sarà di me e del ‘mio’ bambino

Caro diario

Sono una maestra, e come ogni settembre le scuole, con qualche giorno di differenza, stanno ricominciando pressoché ovunque, ed io sono in attesa di prendere un incarico. Fin qui sembra tutto nella norma: le scuole riaprono, le insegnati di ruolo sono a lavoro da inizio mese, noi precari aspettiamo la “chiamata” per lavorare anche quest’anno, sperando che sia fino al 30 giugno e non troppo lontano da casa, sperando di ritrovarsi nella stessa classe dell’anno scorso, o sperando di evitare a tutti i costi quel team di docenti che tanto ci ha fatto patire… Questo anche se in realtà quest’anno di “normalità” ce ne sarà ben poca. Con l’arrivo della pandemia da Covid-19 la vita di tutti noi è cambiata e la scuola, inevitabilmente si è dovuta adattare: nuove regole di convivenza sociale, distanziamento tra le persone, mascherine obbligatorie in classe, igienizzazione continua delle mani, sanificazione delle aule, percorsi e orari alternativi di entrata e di uscita per evitare assembramenti…

Così, noi insegnanti precari facciamo i funamboli portando un grande punto interrogativo in mano per quello che sarà. Infatti, oltre alla grande incertezza del rientro a scuola dopo il lockdown, dobbiamo districarci nella giungla della nuova modalità di reclutamento attraverso le Graduatorie Provinciali e i cosiddetti “contratti Covid” che prevedono un licenziamento immediato in caso di una nuova chiusura delle scuole. Dove va a finire la nostra professionalità, gli anni di studio, la nostra preparazione e l’impegno? Senza parlare dei nostri diritti di lavoratori?

Però, in mezzo a tanto cambiamento e incertezza, una cosa non è cambiata. Molti bambini al loro rientro a scuola non ritroveranno l’insegnante di sostegno dell’anno scorso che con tanta fatica ha costruito una relazione autentica, gettando le basi per un apprendimento significativo e di qualità. L’insegnante che ha lavorato a distanza durante il periodo di chiusura della scuola assicurandogli la continuità didattica e il raggiungimento di almeno alcuni degli obiettivi prefissati non facendo sentire solo nessun alunno. 

“Maestra, ti rivedrò il 14 in classe? O arriverai con qualche giorno di ritardo?”. Queste sono le parole che mi ha scritto la mamma di S., il bambino che ho avuto la fortuna di seguire come insegnante di sostegno per due anni. Ho dovuto rispondere che come ogni inizio anno scolastico non so in quale scuola verrò chiamata, e non so se sarò ancora la maestra di S.

Attesa, questo periodo è un’eterna attesa, e diversamente da come ci insegna G. Leopardi, posso assicurare che non c’è niente di piacevole nell’attendere di sapere cosa ne sarà di me e del “mio” bambino per questo anno scolastico.

Pensando a tutta la strada fatta insieme, alle difficoltà incontrare, ai piccoli e grandi progressi di S., ai suoi abbracci, alle sue chiacchiere continue, non posso non pensare di averlo visto crescere e di sentire un po’ mie le sue vittorie.

Ma forse un insegnante sa che questi bambini ci sono affidati per un certo periodo di tempo, e noi dobbiamo custodirli e dar loro gli strumenti per orientarsi nel mondo, ed essere capaci di lasciarli andare quando arriva il momento. Flessibilità è per noi la parola chiave! Loro se la caveranno, troveranno la forza e le capacità di riadattarsi a un altro insegnante, e saranno pronti ad affrontare una nuova esperienza anche grazie a ciò che gli abbiamo trasmesso.

Voglio perciò fare un grande in bocca al lupo a te S. e a tutti i bambini che quest’anno vivranno una nuova avventura!

La maestra Martina

 

School photo created by user18526052 – www.freepik.com