Corsi in inglese? Quella vecchia polemica dei radicali

Aveva suscitato scalpore, qualche mese fa, la notizia che anche il ministro Profumo approvava la decisione del Politecnico di Milano di adottare l’inglese come lingua da utilizzare obbligatoriamente in tutti i corsi della laurea specialistica in ingegneria a partire dal 2014.

La decisione era stata motivata dal rettore del Politecnico di Milano, Giovanni Azzone (ingegnere come Francesco Profumo, già rettore del Politecnico di Torino), con la necessità di attrarre studenti stranieri e di “internazionalizzare” dal punto di vista linguistico l’offerta formativa anche a beneficio degli studenti italiani. 

Contro la proposta di fare dell’inglese la lingua di comunicazione esclusiva di tutta l’area degli studi e delle professioni di tipo tecnico-scientifico e economico-manageriale (anche la Bocconi e la Luiss già da tempo tengono corsi in inglese) si sono mossi immediatamente i radicali, che da decenni combattono contro il crescente predominio dell’inglese, al quale contrappongono l’esperanto. A sostegno del quale hanno costituito nel 1987 l’ERA (Esperanto Radikala Asocio), le cui tesi hanno spesso trovato spazio nei programmi della Radio Radicale.

La tesi dell’ERA è che tutti i popoli hanno il diritto di parlare la propria lingua e di vederla riconosciuta in ambito giuridico, e che se si vuole salvaguardare la ‘democrazia linguistica’ e il suo carattere pluralistico la comunicazione internazionale non deve avvalersi di alcuna ‘lingua etnica’, come lo è l’inglese, ma ricorrere a una lingua ‘neutrale’ appartenente a tutta l’umanità, come appunto l’esperanto.

E’ assai improbabile che la storica battaglia degli esperantisti abbia successo, ma intanto Radio Radicale ha mandato in onda anche le ragioni di una corposa minoranza di docenti del Politecnico di Milano contrari non all’uso dell’inglese per determinati corsi e argomenti, ma al suo impiego indiscriminato in totale sostituzione dell’italiano. Essi sembrano condividere la preoccupazione manifestata dal linguista Luca Serianni, a cui giudizio la drastica rinuncia alla lingua madre nell’istruzione tecnico-scientifica può comportare una regressione nel controllo delle strutture logico-argomentative. Obiezione che anche a noi sembra non infondata.