Corporativismo di sinistra?

L’accusa mossa dal “Corriere della Sera” ai professori universitari di aver soffiato sul fuoco della protesta studentesca per difendere i propri interessi, messi in discussione dalla riforma Moratti (quella riguardante lo stato giuridico dei docenti delle università italiane: fasce di docenza, reclutamento, carichi di lavoro ecc.), è di quelle destinate a suscitare polemiche feroci, ma non nuove, sul conservatorismo delle “corporazioni“: ceti professionali che guardano più al proprio tornaconto di categoria che all’interesse pubblico.
Il caso specifico dell’università, sostiene Galli della Loggia, editorialista del “Corsera” (ma anche docente universitario), è emblematico di un più ampio problema, costituito dall’estrema difficoltà che il riformismo italiano incontra nel battere l’immobilismo e l’arroccamento difensivo verso ogni novità. Un fenomeno, nota Galli della Loggia, che investe l’intera società italiana e le sue rappresentanze politiche sia di destra che di sinistra, “come accadde per esempio a Luigi Berlinguer quando osò proporre una sia pur tenue modulazione degli stipendi degli insegnanti“.
In realtà il “corporativismo” non è né di destra né di sinistra, è una tendenza che attraversa (purtroppo) la società italiana, e trova di volta in volta sostegni interessati: a destra quando è al governo la sinistra, e viceversa. Una diagnosi sconsolante, ma realistica, che induce a ritenere che certe innovazioni potranno essere introdotte solo con un consenso più ampio di quello delle maggioranze politiche del momento.