Come arginare il calo delle scuole/2. Una nuova visione

Il primo tipo di possibile intervento per arginare lo “scioglimento” della scuola (che si ritira come i ghiacciai) riguarda il decentramento della programmazione della rete scolastica. Lo spartiacque dell’autonomia aveva stabilito un’iniziale consistenza degli istituti ai quali riconoscere la personalità giuridica, ma le successive modifiche sarebbero dovute avvenire con la partecipazione di regioni, enti locali e delle stesse scuole autonome. Fu tracciato un percorso partecipativo che però è stato ridotto a pura prassi burocratica, nel senso che gli enti territoriali, compresa la conferenza stato-regioni, sono stati chiamati ad esprimere pareri entro limiti economici invalicabili e non costruiti dal basso, come la legislazione richiedeva, ma imposti a livello centrale.

La situazione delle così dette aree interne è quella che continua a soffrire, motivo per cui nella legge sui piccoli comuni si richiedeva un piano regionale per le scuole che non fu mai realizzato, così come ad esempio gli istituti con numeri superiori a quelli stabiliti non furono mai spezzati in ossequio alla fama degli stessi riguardo alle sempre numerose richieste. Insomma non si tratta di decentrare solo competenze di carattere esecutivo, nella scelta dei tipi di aggregazione, che poi dati i vincoli quantitativi risultano anche poco coerenti e razionali, ma di condividere un’organizzazione che parta dal basso, dalle esigenze dei territori e non dal bilancio dello stato.

La seconda condizione è relativa alla funzione che oggi si vuole attribuire alla scuola stessa; oltre all’alfabetizzazione culturale le strategie formative la vedono impegnata insieme ad altri soggetti, in primis le famiglie e poi il privato sociale, anche attraverso patti educativi di comunità, e le diverse realtà del territorio. Si parla di scuole aperte tutto il giorno e tutto l’anno, con compiti di recupero nell’apprendimento e di situazioni di disagio sociale, ma anche luogo si attività di educazione informale e non formale, di civic center, in aiuto alla comunità (Tuttoscuola presentò e motivò un’accurata proposta in questo senso nel 2013 all’interno del Dossier “Sei idee per rilanciare la scuola”, scaricabile gratuitamente). La regione deve definire gli ambiti territoriali di riferimento per le unioni dei comuni nel primo ciclo e nei servizi per l’infanzia e per le province nel secondo ciclo, nel quale prendono corpo i laboratori territoriali per l’occupazione nel caso dell’istruzione tecnica e professionale.

La terza operazione attiene alla stabilità dell’organizzazione interna agli istituti. Occorre completare una volta per tutte l’autonomia e attribuire un organico di istituto poliennale, con mobilità limitata e margini di manovra nel caso venga praticata la flessibilità del curricolo anche per quanto riguarda l’assunzione del personale da parte delle scuole stesse. La gestione deve rimanere partecipata, aperta alle rappresentanze del territorio e del mondo del lavoro.

Tre passaggi che non hanno bisogno di nuove leggi, ma di una convergente volontà politica per conferire stabilità al sistema e togliere tanta burocrazia; non servono nemmeno nuovi finanziamenti in quanto si può consolidare la spesa storica ad un livello accettabile in questi anni di decremento e magari valutare la possibilità di strutturare, con l’aiuto del PNRR, soprattutto in merito agli edifici ed ai nuovi ambienti di apprendimento, i livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio nazionale.

Altrimenti il ridimensionamento previsto, anche se riguardasse soltanto le dirigenze scolastiche, non potrà staccarsi del tutto dalla oscillazione degli alunni; le due cose continueranno ad influenzarsi a vicenda, con il permanente rischio della soppressione delle classi o del cambiamento nella composizione degli istituti.

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