
Cerano una volta le classi pollaio
Il termine classi ‘pollaio’ è in uso da alcuni anni, da quando, già ancor prima dei tagli Tremonti-Gelmini, le politiche di razionalizzazione della spesa per l’istruzione avevano determinato anno dopo anno una contrazione dei posti (quindi delle classi), mentre il numero di alunni era stabile o addirittura in aumento. Meno classi e più alunni hanno alzato il numero medio di alunni per classe con casi limite che hanno raggiunto e superato le 30 unità. Le classi pollaio, appunto.
Le classi numerose mortificano la didattica e impediscono un insegnamento individualizzato, a scapito dell’impegno dei docenti e del diritto allo studio degli studenti.
Ma non è sempre stato così e, tanti anni fa, nessuno si sognava di considerare classi ‘pollaio’ le classi numerose, molto numerose, affidate, ad esempio, ad un solo insegnante, come succedeva nella scuola elementare.
La documentazione di classi ‘pollaio’ ante litteram è rinvenibile ancora oggi nei vecchi registri custoditi negli archivi di alcune scuole storiche o accessibili al pubblico nella mostra sui 150 anni di scuola italiana allestita nei locali del ministero dell’istruzione, a Roma in viale Trastevere.
In due registri di scuola elementare, classi prima e terza dell’anno scolastico 1916-17 di un comune dell’Appennino settentrionale, si legge che la stessa maestra insegnava in prima (quattro ore al mattino) e in terza (tre ore al pomeriggio) per cinque giorni a settimana (chiusura il mercoledì) con un calendario scolastico che iniziava il primo ottobre e si concludeva a metà luglio.
In prima gli alunni iscritti a registro erano 57 (27 maschi e 30 femmine); in terza gli iscritti erano 58 (34 maschi e 24 femmine).
Non si chiamavano classi ‘pollaio’, ma quelle classi enormemente numerose avevano un prezzo: la metà di quei ragazzi era ripetente.
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