Cambiare i sistemi formativi attraverso il dialogo ed il buon senso

L’urgenza di una riforma complessiva della scuola,riforma condivisa dagli operatori, oltre gli schieramenti partitici, è sotto gli occhi di tutti. La dimensione europea dell’educazione e la forte domanda sociale di qualità dell’offerta formativa impongono ai decisori politici di maggioranza e di opposizione di superare le sterili contrapposizioni ideologiche degli ultimi tempi.

Quale obiettivo può favorire questa de-ideologizzazione della complessa materia? Diversi autori, tra i quali Vittorio Campione, Paolo Ferratini e Luisa Ribolzi, suggeriscono di identificare i problemi prioritari e di trovare soluzioni realistiche da posizioni diverse. Sono proposte di ” buon senso” per cambiare i sistemi formativi. Si tratta di distinguere la sfera politica da quella tecnica e da quella amministrativa. A ciascuno deve essere restituito il suo ruolo specifico. I tecnici non possono arrogarsi la funzione politica. I politici sono chiamati a verificare il grado di saggezza delle proposte tecniche e la condivisione delle scelte nel mondo della scuola. La sfera amministrativa, infine, deve dimostrare lealtà verso il governo in carica, oltre gli schieramenti partitici, sulla base dei valori condivisi.

Beniamino Brocca afferma: ” Tutto ciò indebolisce il prestigio dell’Amministrazione e complica la vita del sistema educativo. Basterebbe che il detentore della potestà politica pretendesse lealtà e laboriosità senza emarginare coloro che indossano una casacca politica diversa; evitasse di privilegiare coloro che si stendono a tappetino per lucrare un personale beneficio; valorizzasse al massimo le doti professionali di tutti i componenti.”

L’educazione rappresenta un “ambito politico“, come sostiene Louis Legrand. La costruzione del sistema politico, pertanto, spetta a chi detiene il potere di indirizzo e di guida conferitogli dai cittadini elettori. Gli operatori tecnici ed amministrativi, ovviamente, devono essere coinvolti, mettendo a disposizione del legislatore, in modo leale, le enormi competenze acquisite .La politica, però, deve ritrovare il suo volto umile” mite, conviviale, sobrio, corretto” .

Nel campo dell’istruzione e della formazione servono una grande moderazione, prudenza, equilibrio, ponderatezza, perché parliamo del futuro delle nuove generazioni. La riforma deve essere lenta ma continua e progressiva, coerente sulla base di una visione trasparente e di una critica costruttiva.

F.Frabboni, ad esempio, ci prospetta una soluzione adatta alla democrazia dell’alternanza. I valori alti non si toccano perché il progetto-persona nel quadro costituzionale deve avere la sua continuità e condivisione al di sopra delle parti. L’architettura istituzionale, invece, trattandosi di una questione organizzativa può essere oggetto di dialogo-dissenso.

Da tale impostazione discende il rifiuto dell’azzeramento del passato, della lettura manichea dello sviluppo storico del sistema nazionale d’istruzione. Estremamente pericoloso è infatti, distruggere le buone pratiche consolidate, introducendo termini nuovi usati come pure parole d’ordine.

Realizzare uno stabile rinnovamento attraverso l’affidabilità degli operatori ed il discernimento delle scelte effettuate: questo è il compito che abbiamo davanti. Non serve, pertanto, una complicata costruzione di ingegneria ordinamentale. E’ necessario, invece, valutare l’affidabilità delle riforme, la loro capacità di affrontare le sfide della complessità, la loro resilienza, cioè la robustezza e l’adattamento alla realtà. Il saggio riformatore rifugge da luoghi comuni e da giudizi affrettati. Afferma Beniamino Brocca a questo riguardo: ” Mettere alla prova il sistema educativo significa, perciò, saggiarne le funzioni, le potenzialità, le prospettive, in vista dei suoi doveri istituzionali“.

Questo significa mettere in rapporto sistema educativo e società. Queste due realtà sono strettamente interdipendenti, anche nel malessere che le invade nel momento presente. Solo un chiaro ancoraggio europeo ed un deciso innalzamento del livello quantitativo e qualitativo del sistema d’istruzione e di formazione potranno consentire di uscire dal disagio e di affrontare l’incertezza della società complessa.

I decisori politici sono chiamati a guardare lontano e a rimodellare il circuito scolastico nell’esclusivo interesse delle giovani generazioni. Si staglia così all’orizzonte un culturalismo di qualità nel senso di Bruner, di una cultura che plasma la mente, di un soggetto che costruisce la propria identità in un contesto che gli consente di appropriarsi degli strumenti per interpretare il mondo e per cambiarlo. Il culturalismo di qualità , finalizzato all’educazione, si muove lungo le linee di sviluppo della flessibilità, della sussidiarietà , della valutazione di sistema e della professionalità. E’ chiamato in causa, in tal modo, un nuovo tipo di insegnante, un progettista-regista di processi di insegnamento-apprendimento più che uno speaker che trasmette saperi.

Forte è l’esigenza di un’ ascesa costante di tutto il sistema scolastico e formativo verso le mete stabilite. Due modelli di navigazione vengono proposti: quello della legge 30/2000 che prevedeva un unico scafo, quello del sistema formativo integrato e quello della legge 53/2003 che prevede due scafi, quello scolastico e quello del sistema professionale. In questo caso Brocca ricorda la metafora del catamarano.

La pari dignità dei due sistemi è l’obiettivo da raggiungere nel tempo. Per questo serve superare una visione scuola-centrica che emargina la formazione professionale come rifugio per i soggetti più deboli sul piano culturale. Non nel senso di una licealizzazione totale affermiamo la pari dignità ma nella direzione di una continuazione aggiornata della valida tradizione italiana degli istituti tecnici e professionali di Stato. I due binari devono essere, pertanto, distinti ma collegati in percorsi integrati ed interattivi.

I due canali

Mentre i licei sono prevalentemente rivolti alla conoscenza , la formazione professionale ha una evidente vocazione alla operatività. In entrambi i casi, però, intelletto, mano e cuore devono essere adeguatamente impiegati, data l’unitarietà della persona. In questo senso siamo chiamati ad affermare nel nostro Paese una nuova cultura del lavoro, una cultura che arriva alla figura del giovane tecnico superiore, alternativa all’Università, per un mercato del lavoro che chiede sempre più figure specializzate per la competizione internazionale. Ricerca scientifica e tecnologica attraversano così i due canali esprimendo anche una formazione professionale di qualità. Il problema è, in sintesi, potenziare la formazione professionale accanto ai licei tradizionalmente validi.

Sarebbe, pertanto, una scelta superficiale e pericolosa quella di limitarsi a licealizzare qualche istituto tecnico e di regionalizzare qualche istituto professionale. La seconda gamba del sistema deve contenere il meglio degli istituti tecnici, dei professionali di Stato e della formazione professionale regionale, con una saggia dosatura del curricolo in modo da esprimere forza culturale accanto ad una evidente capacità di rispondere alle esigenze formative del territorio.

 

Criticità delle riforme

I processi avviati dai decreti attuativi della legge 53 hanno sollevato molteplici critiche , delle quali è saggio tenere conto. Ad esempio, Beniamino Brocca afferma: ” Poiché la politica dello struzzo non paga, occorre denunciare subito l’incombere di alcuni pericoli minacciosi per le sorti del sistema educativo ( oltre a quelli, già paventati, della licealizzazione dell’istruzione tecnica e professionale e della fragilità della “seconda gamba”dell’ordinamento): la manovra insistente di riportare le lancette della storia legislativa indietro di alcuni decenni oliando vecchi armamentari arrugginiti ( il maestro prevalente, il ciclo unico, i programmi nozionistici, la didattica direttiva, il dominio cognitivistico); l’avvento di un malinconico precocismo oppure il ritorno di un mortificante adultismo; l’azzardo incredibile di sconvolgere l’assetto ordinamentale e curricolare , vigente, della scuola elementare (fiore all’occhiello del nostro paese) mediante l’introduzione di stravaganti artifici ( peraltro non previsti dalla legge di riforma“).

Una riforma condivisa richiede una revisione di queste drastiche scelte. <
Per quanto riguarda il conflitto di attribuzioni tra Stato e Regioni, inoltre, è assolutamente necessario trovare un accordo in sede di Conferenza istituzionale, esaminando con molta attenzione le materie della competenza esclusiva e concorrente nell’istruzione e nella formazione. Alle Regioni dovrebbe essere assegnata la potestà legislativa esclusiva in ordine alla organizzazione funzionale, alla gestione sia dell’istruzione scolastica sia della formazione professionale, alla definizione dei curricoli di interesse locale insieme alle scuole autonome. Allo Stato dovrebbe essere attribuita la potestà legislativa esclusiva sull’organizzazione strutturale dei canali dell’istruzione e della formazione, al fine di mantenere il carattere unitario nazionale, la fissazione di standard comuni e lo sviluppo globale del sistema educativo. I due canali potrebbero trovare, poi, forme di coordinamento nella progettazione di un biennio unitario onde ritardare la scelta definitiva e rendere possibili successive passerelle.

Studiosi ed esperti di qualunque orientamento possono favorire il dialogo tra i due schieramenti evitando una terza mega-riforma, seguendo le indicazioni che vengono dal mondo reale della scuola.

La scuola al centro delle politiche

I discorsi del Presidente della Camera, del Presidente del Consiglio, del Presidente della Repubblica sembrano riportare la scuola al centro dell’agenda politica. Ora è il momento di risolvere sul serio i gravi problemi del sistema formativo, superando l’approccio puramente ideologico. Servono concretezza, ascolto degli operatori, risorse e attenzione alla vera mission che è l’educazione dei giovani per il futuro. La nomina di Giuseppe Fioroni sembra andare in questa direzione isolando atteggiamenti più radicali. Il Presidente Giorgio Napoletano ha usato parole significative per avviare questo nuovo ciclo della politica scolastica: L’Italia deve contare ” sulle risorse che possono essere attribuite ai giovani, uomini e donne in formazione, da un sistema di istruzione che fino al più alto livello offra a tutti uguali opportunità di sviluppo della persona, e premi il merito e la dedizione allo studio e al lavoro“. Sta ora alle forze politiche e parlamentari raccogliere questi autorevoli appelli e trasformarli in atti, scelte, priorità, riconoscendo il ruolo delicatissimo ed insostituibile del personale scolastico.

Il Premier Romano Prodi in Parlamento ha assunto impegni rilevanti: “per il futuro dell’Italia e per il suo sviluppo l’istruzione rappresenta l’elemento chiave: non si torna a crescere senza investire mezzi ed energie intellettuali nella ricerca, nell’innovazione e nella scuola. Dobbiamo investire in conoscenza diffusa, in qualità ed efficacia dei percorsi formativi, cominciando dalla scuola dell’infanzia fino ai livelli più alti, restituendo valore e dignità ai percorsi formativi tecnici e creando nuovi centri di eccellenza…..Noi siamo consapevoli che la scuola è una macchina complessa, che ha bisogno di un progetto condiviso e di un lungo periodo per dispiegare l’efficacia della sua azione educativa.” “dopo dieci anni di riforme e controriforme è giunto il momento di mettere ordine, di fare il punto, di cambiare ciò che palesemente non funziona e ciò che appare sbagliato e di dare finalmente stabilità alla scuola, valorizzando l’autonomia degli istituti e il ruolo e i sacrifici degli insegnanti.”

Il neo-Ministro intanto ha bloccato l’applicazione del decreto sul secondo ciclo ed intende rimettere all’autonomia delle scuole alcune delle novità previste dalla riforma Moratti sul primo ciclo. Forte è anche il richiamo al valore della scuola pubblica.

Il nuovo governo intende creare gli istituti tecnici del ventunesimo secolo con la rivalutazione della formazione tecnica e professionale e con percorsi brevi universitari.

Si auspica un dialogo approfondito tra Stato e regioni per creare un vero sistema formativo integrato di qualità.

Come impostare una collaborazione bipartisan con l’attuale opposizione? Come arginare le tendenze radicali abrogazioniste della maggioranza? Dove trovare le risorse per dare le gambe a queste impegnative dichiarazioni del Governo? I fatti dovranno rispondere nei prossimi mesi.

La divisione del ministero tra Istruzione ed Università può essere un bene se i due ministri lavoreranno collegialmente dedicando maggiore cura agli specifici problemi, altrimenti è un passo indietro.

Il prof. Luciano Corradini , Presidente nazionale dell’Uciim, in conclusione, esprime la posizione di molti operatori della scuola: “Rifiuto l’idea che ci sia tutto da buttare nella riforma Moratti…Ciò non mi impedisce di segnalare con chiarezza i limiti di metodo, di contenuto e di gestione che nel processo riformatore abbiamo colto dal nostro osservatorio.” (La scuola e l’uomo, n. 1-2, 2006, p. 75).

Silvio Minnetti