Buonuscita addio. Arriva il TFR con una penale per i dipendenti pubblici
Tutti i dipendenti pubblici, compresi quelli della scuola, assunti prima del 2000, hanno goduto finora di un trattamento di fine servizio, come indennità di buonuscita, tutto sommato più favorevole rispetto ai lavoratori privati per i quali è previsto il TFR.
Durante l’attività lavorativa, però, il dipendente pubblico deve contribuire alla costituzione della sua indennità di buonuscita, con un contributo in busta paga pari al 2% della retribuzione (mentre lo Stato contribuisce con una quota pari al 5,68%). Il lavoratore privato per il suo TFR invece non ha alcuna ritenuta sullo stipendio, perché tutto è a carico del datore di lavoro.
Dal prossimo gennaio anche tutti i dipendenti pubblici dovranno passare al TFR, fermo restando il diritto di percepire alla fine del servizio, oltre al TFR, anche la quota di buonuscita secondo l’anzianità maturata a tutto il 31 dicembre 2010, calcolata sull’ultimo stipendio in godimento al momento del pensionamento.
Tutto ok? Per niente, perché, in forza di un dpcm del 1999, quel contributo del 2% a carico del dipendente pubblico viene ovviamente soppresso (ottenendo l’equiparazione al lavoratore privato), ma contestualmente vanificato riducendo la retribuzione di una ritenuta figurativa pari al contributo ex-opera di previdenza.
L’abolizione del contributo avrebbe, infatti, determinato un aumento della retribuzione, riducendo la penalizzazione per la perdita dell’indennità di buonuscita.
In questo modo, però, il principio della armonizzazione del trattamento di fine lavoro tra dipendenti pubblici e privati resta del tutto virtuale.
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