Bufera sui test/2. Le alternative in campo

Secondo il noto linguista Raffaele Simone “il test come metodo di selezione è uno dei tanti cascami della nostra dipendenza culturale dagli Stati Uniti“. Colpa dei pedagogisti, scrive Simone su un noto quotidiano, e soprattutto di Aldo Visalberghi, che se ne fece alfiere in un “librettino” pubblicato nel 1955 di cui lui, Simone, conserva un ricordo “piuttosto plumbeo“, “Misurazione e valutazione nel processo educativo“.
Il drastico giudizio di Simone sul testo di Visalberghi, che altri studiosi considerano invece una pietra miliare per la docimologia e la stessa storia della scuola italiana, esprime la radicata diffidenza di una parte del mondo universitario verso uno strumento considerato “aleatorio, cervellotico e sottilmente vessatorio“. Quindi da abolire. I critici di questo strumento di valutazione ritengono che non sia adeguato a rilevare la preparazione culturale e l’attitudine dei giovani per un determinato corso di studi (ma considerazioni analoghe si fanno verso il previsto inserimento dei test nelle prove di accesso al concorso per dirigenti scolastici) e che serva soprattutto a liberarsi di masse di aspiranti rendendo più agevole la gestione delle procedure di preselezione.
Ma molti non sono d’accordo, e propongono di mantenere i test migliorandoli, o altre soluzioni. Proviamo ad elencarne qualcuna, tra quelle emerse nel dibattito in corso, senza pretesa di completezza.
La prima è quella perseguita dal decreto legislativo, già messo a punto dai ministri Mussi e Fioroni, che tiene conto della carriera scolastica e del voto di maturità del candidato: il decreto propone 25 punti su 105 (gli altri 80 continuerebbero ad essere assegnati sulla base dei test).
La seconda è il mantenimento delle attuali prove nazionali, da svolgere in condizioni tecnologicamente più avanzate (per esempio facendo sostenere le prove direttamente al computer) e in condizioni di maggiore sicurezza (per esempio non dando le stesse prove a tutti, ma predisponendo diverse combinazioni di quesiti equivalenti).
La terza è l’abolizione delle prove, e lo spostamento della selezione, se necessaria, alla fine del primo anno di università, sulla base del numero di esami dati e delle votazioni riportate.
La quarta è l’affidamento alle singole sedi universitarie del compito di selezionare i propri studenti, senza test nazionali.
La quinta, cui accenna lo stesso Raffaele Simone, pur giudicandola difficilmente praticabile, è la sostituzione dei test con “colloqui articolati“.