Bilancio amaro di un anno di riforme

Giovanni Cominelli, su “ilsussidiario”, traccia un primo bilancio di questo anno di riforme, puntando l’attenzione sulla prima innovazione già applicata, la valutazione degli alunni, con le sue novità dei voti e della condotta e il rigore dell’ammissione alla classe successiva.

Un discorso credibile e coerente – scrive Cominelli (www.ilsussidiario.net) – sulla severità dovrebbe partire dalla certificazione rigorosa della qualità dell’insegnamento prima che dell’apprendimento, nell’ipotesi che ci sia una qualche relazione di causalità tra il primo e il secondo. E mettere in atto innovazioni che garantiscano la qualità nella formazione iniziale, nel reclutamento, nella gestione del personale docente e dirigente.

Finché questo non accade – osserva – ogni discorso appare superficiale, ipocrita, puramente propagandistico.

I ragazzi sono i primi ad accorgersi di avere in mano un’arma potente di ricatto: non possono essere bocciati, perché sennò si renderebbe visibile e si aggraverebbe la dispersione – che già ora interessa 200 mila ragazzi l’anno – e le cattedre verrebbero falcidiate. E così la scuola va, come osserva uno del milione di docenti regolari e precari, “come una nave nella tempesta e senza nocchiero”. Abbastanza grande da non affondare, ma abbandonata a se stessa, in preda ai marosi, senza porto in vista.

Cominelli osserva con un certo pessimismo che vi è disconnessione del sistema educativo dalla realtà e dalla vita reale con effetti diversi sui ragazzi e sugli insegnanti, perché i ragazzi hanno abbassato le attese verso la scuola e verso di sé: perciò passano il tempo a “socializzare”, raccolgono qualche brandello di sapere qua e là, sempre meno, perché, del resto il 70% delle cose che sanno non lo prendono a scuola, ma da altre fonti.

La maggioranza degli insegnanti e dei dirigenti – commenta Cominelli – sperimenta una disperazione quieta e rassegnata, in parte lenita dal rapporto personale con i ragazzi, che è più forte di ogni imbrigliatura burocratica, ma che non basta a conferire loro un ruolo civile e sociale.