A. Scotto di Luzio, La scuola degli italiani, il Mulino, Bologna 2007, euro 25

In occasione dell’intervista rilasciata ai primi di settembre 2008 al settimanale Panorama il ministro Gelmini, come riferisce la giornalista Terry Marocco, “teneva sottobraccio” il libro di Adolfo Scotto di Luzio “La scuola degli italiani“.  Di questo libro, scritto dallo storico della scuola dell’università di Bergamo, l’aveva colpita la tesi, che lei dichiarava di condividere, che il punto debole della scuola italiana è la scuola media. “Va rivista e penso che si debba partire da lì“, aveva detto il ministro (salvo poi dedicarsi assai di più alla scuola primaria).

Ma l’affresco della scuola italiana dipinto da Scotto di Luzio ha un carattere assai più generale e sistemico: in realtà è l’intera politica scolastica italiana del dopoguerra, e soprattutto quella realizzata dopo il 1968, ad essere messa sotto accusa in quanto globalmente responsabile della crisi della scuola italiana. L’ossessione della riforma, come l’autore la definisce, condivisa dai governi e dalle opposizioni pro tempore, si è risolta in una serie di fallimenti legislativi, ma ha proiettato sulla scuola reale l’idea guida che l’ha permeata: “la profonda avversione ideologica nei confronti del principio selettivo meritocratico“. Un’avversione nella quale sono confluiti i due filoni fondamentali del “populismo italiano del dopoguerra“, quello di matrice cristiana (fino al radicalismo evangelico di Don Milani) e quello di matrice marxista, alleati nell’opera di delegittimazione dell’insegnamento tradizionale, che era sì selettivo, ma di qualità.

Tutto ciò, e il mancato sviluppo di un organico sistema di istruzione e formazione professionale davvero competitivo con il sistema liceale, ha condotto la scuola e anche l’università del nostro Paese al crescente degrado nel quale esse sono precipitate. Per uscirne, secondo l’autore, occorre “una inversione di rotta che punti sulla qualità del sistema, sulla selezione dei migliori, sulla distinzione degli allievi e dei loro professori“. Solo una “scuola esigente“, fra l’altro, potrà offrire una vera opportunità a chi proviene da ambienti svantaggiati. Così si conclude questo libro bello,  ben scritto, certamente discutibile per la venatura un po’ nostalgica e i toni a tratti catastrofisti che lo percorrono, ma originale e stimolante.

(Orazio Niceforo)