A venticinque anni dall’introduzione dell’autonomia scolastica, il dibattito torna al centro dell’agenda politica. Lo scorso 17 novembre, nella sala Berlinguer della Camera dei Deputati, si è svolto l’incontro “Autonomia scolastica, 25 anni di una riforma. Bilanci e prospettive”, promosso dai responsabili scuola di PD e PSI, Irene Manzi e Luca Fantò, con la partecipazione dei vertici di Cgil, Cisl e Uil Scuola. Un confronto che ha messo in luce, con toni diversi ma convergenti, un nodo ormai evidente: l’autonomia, pensata come leva di modernizzazione del sistema, non ha mai trovato piena attuazione.
Tra visione e limiti: il bilancio di 25 anni
Ad aprire i lavori è stato il Alfonso Rubinacci, già Capo Dipartimento del MIUR e coordinatore scientifico di Tuttoscuola, che ha ricordato come la riforma – pur restando un “pilastro” del rinnovamento – si sia spesso scontrata con ostacoli strutturali e culturali.
La dialettica tra libertà e vincolo, innovazione e controllo, ha creato un’antinomia che ancora oggi frena la capacità delle scuole di esercitare una piena autonomia didattica e organizzativa. Il rischio, condiviso dai relatori, è che lo strumento nato per favorire ricerca e innovazione si sia progressivamente trasformato in un meccanismo gestionale di natura burocratica.
Le posizioni dei sindacati
Dalla Cgil, Gianna Fracassi ha parlato di una riforma “indebolita dai tagli alle risorse, dalla mancata riforma degli organi collegiali e dalla riduzione dell’autonomia a funzione amministrativa”.
Il progetto originario, fondato sulla libertà professionale e sulla scuola come motore di uguaglianza, secondo Fracassi richiede oggi un rilancio deciso: organici stabili, ricerca-azione finanziata, valorizzazione della sperimentazione e una dirigenza “guida della comunità educante”, non semplice gestione manageriale.
Ivana Barbacci (Cisl Scuola) ha ricordato come in 26 anni si siano succeduti 14 ministri dell’Istruzione, senza però accompagnare la riforma con i processi necessari alla sua piena realizzazione. Troppi interventi normativi, ha osservato, avrebbero addirittura indebolito l’impianto originario, disarticolando la connessione con le realtà territoriali.
Per Giuseppe D’Aprile (Uil Scuola), l’autonomia ha rappresentato “una svolta culturale nel superamento del centralismo”, ma resta un progetto incompiuto: risorse insufficienti, instabilità politica e percezione, nelle scuole, di un carico burocratico crescente che sottrae spazio alla libertà professionale. Senza un ecosistema normativo e finanziario adeguato, ha affermato, l’autonomia rischia di rimanere un principio dichiarato più che una pratica effettiva.
PD e PSI: risorse, equità e meno burocrazia
In chiusura, Irene Manzi (PD) ha rilanciato il valore dell’autonomia come strumento per personalizzare i percorsi e valorizzare le differenze degli studenti. Per funzionare davvero, ha sottolineato, servono risorse adeguate, una redistribuzione più equa, la valorizzazione professionale del personale scolastico e una netta riduzione degli adempimenti burocratici.
Non è mancato un riferimento alle recenti iniziative governative, definite “preoccupanti” per il rischio di riportare la governance del sistema verso forme di controllo centralizzato.
Da parte socialista, Fantò ha richiamato l’urgenza di restituire entusiasmo a docenti e dirigenti, evidenziando come 26 anni di politiche altalenanti abbiano indebolito motivazioni e prospettive.
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