Bullismo e responsabilità educativa: ispezione alla scuola dopo il suicidio di Paolo

Un’ispezione ministeriale lunga oltre quattro ore si è svolta ieri, 16 settembre, nella scuola della provincia di Latina frequentata da Paolo, il ragazzo di 14 anni che si è tolto la vita pochi giorni fa. Una tragedia che ha scosso l’opinione pubblica e acceso i riflettori su episodi di bullismo che, secondo la famiglia, il giovane avrebbe subito sistematicamente.

Matite spezzate, insulti nei bagni, silenzi di troppo

A nostro figlio spezzavano le matite, scarabocchiavano i quaderni, lo perseguitavano con disegni osceni sulle porte dei bagni con il suo nome sopra”. Questo il racconto straziante dei genitori di Paolo agli ispettori del Ministero dell’Istruzione e del Merito, riportato da La Repubblica. L’ispezione, che ha coinvolto anche la responsabile di plesso, mentre la dirigente scolastica è stata ascoltata nella sede centrale dell’istituto, continuerà nei prossimi giorni, estendendosi anche alle altre scuole frequentate dal ragazzo.

Una storia di segnalazioni ignorate?

Secondo quanto riferito dai familiari, Paolo avrebbe già subito episodi di bullismo alle scuole medie, tanto da dover cambiare istituto: “C’era un bullo che i professori proteggevano”, hanno affermato i genitori. La famiglia ha consegnato agli ispettori i quaderni del primo anno di superiori, contenenti annotazioni che Paolo stesso considerava denigratorie, oltre a chat tra il padre e le insegnanti delle elementari. Materiale che sembra contraddire le parole della dirigente scolastica, la quale ha dichiarato che la scuola non aveva mai ricevuto denunce formali.

Il fratello del ragazzo chiarisce: “Può darsi che la dirigente non fosse al corrente, trattandosi di una sede distaccata. Ma esistono decine di chat, discussioni nei gruppi scolastici, quaderni firmati da docenti: prove concrete di ciò che Paolo subiva”.

Un ambiente che non ha protetto?

La madre di Paolo, in un’intervista al Corriere della Sera, parla di un contesto scolastico incapace di contenere la violenza relazionale: “Troppa gentaglia, insegnanti non capaci. Paolo mi diceva che ogni volta che veniva bullizzato, gli insegnanti non lo difendevano. Urlavano come se fosse lui nel torto”. Un ragazzo descritto come maturo, educato, con un linguaggio forbito e modi gentili: “Cosa c’è di strano in questo?”, si chiede la madre.

Anche gli episodi riportati sono indicativi di una quotidianità fatta di piccole, continue aggressioni: “Stava sempre da solo. Gli prendevano lo zaino, lo colpivano alla spalla. E la vicepreside si limitava a minacciare sospensioni”, conclude.

Un appello che interroga la scuola

Mentre le indagini ministeriali proseguono, il caso di Paolo riporta al centro il tema, ancora troppo sottovalutato, del bullismo nelle scuole e della capacità (o incapacità) delle istituzioni scolastiche di prevenire, riconoscere e intervenire tempestivamente. La vicinanza simbolica del cantante Nino D’Angelo, il cui nome era usato per insultare Paolo, ha acceso un riflettore anche mediatico sulla vicenda: “Perdonaci Paolo, se non abbiamo saputo aiutarti”.

Il dolore della famiglia si accompagna a una richiesta di verità e giustizia, ma soprattutto a una domanda rivolta a tutta la comunità educante: come può la scuola, presidio di inclusione e tutela, diventare un luogo sicuro per tutti, senza eccezioni? E quanto è ancora urgente ripensare i modelli di prevenzione, ascolto e intervento?

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