Ripensare il tempo scolastico

Tempo che sfugge, che non basta mai, in un mondo, il nostro, dove gli stimoli si sono moltiplicati a tal punto da assorbire tutta la nostra capacità sensoriale. Il digitale si sostituisce al reale, in una iperconnessione ramificata, fatta di contenuti infiniti e di una incessante presenza di notifiche, messaggi, suoni, immagini, che senza che ce ne accorgiamo rubano il nostro tempo. Istante dopo istante, ogni giornata volge al termine senza che abbiamo avuto realmente il tempo di viverla.

Di questa frenesia, la scuola deve tenere conto. Deve essere la prima a rallentare, a riappropriarsi del piacere della lentezza, che racchiude in sé il tempo per meditare, per vivere e per ritornare a emozionarsi davanti alle cose piccole e semplici della vita. Non può inseguire i ritmi dell’efficienza produttiva o della logica performativa, ma deve difendere lo spazio della riflessione, del silenzio, dell’ascolto, dell’elaborazione lenta del sapere.

Nel dibattito contemporaneo sull’educazione, il tempo rappresenta, quindi, una delle variabili più trascurate e al contempo decisive. Il tempo scolastico, scandito da orari rigidi, programmi serrati e verifiche frequenti, rischia di soffocare la naturalezza dell’apprendimento, che invece necessita di ritmi distesi, pause riflessive e tempi di interiorizzazione. Sempre più spesso, il tempo della scuola si piega a logiche esterne, dimenticando la centralità del soggetto che apprende. La pressione della valutazione sommativa, la necessità di verificare e classificare in tempi brevi, e l’obbligo di dimostrare risultati immediati rendono difficile coltivare un apprendimento profondo e duraturo.

E’ necessario riflettere criticamente sulla necessità di ripensare il tempo scolastico, alla luce della “Pedagogia della Lumaca” di Gianfranco Zavalloni, degli apporti delle neuroscienze e della metacognizione, della valutazione autentica e dei compiti significativi, dei risvolti psicologici e pedagogici, e della didattica per competenze. L’obiettivo è quello di delineare un orizzonte educativo più rispettoso dei tempi interiori degli studenti, capace di valorizzare i processi oltre che i prodotti, e di fare del tempo scolastico uno spazio di crescita integrale.

La pedagogia della lumaca di Gianfranco Zavalloni

La scuola contemporanea è spesso vittima della corsa al programma, anche se questo, almeno nella sua definizione ministeriale di un tempo con l’autonomia scolastica, non esiste più. Tuttavia, la pressione implicita a “finire il programma” continua a condizionare tempi e metodi. La scuola è anche segnata dalla standardizzazione delle prove, che rischia di omologare i percorsi educativi, e da una concezione dell’efficienza come misura esclusiva del successo, trascurando così la profondità, la riflessione e la centralità del processo formativo. Le ore scandite al minuto, gli obiettivi da raggiungere a scadenze imposte, e la preoccupazione per il rendimento misurabile hanno trasformato la scuola in una macchina orientata al prodotto più che al processo. In questo scenario, la proposta di Gianfranco Zavalloni nella sua “Pedagogia della Lumaca” appare come una provocazione necessaria e urgente, ma anche come una proposta rivoluzionaria per il futuro dell’educazione.

Zavalloni invita a rallentare, a restituire centralità all’esperienza, al tempo disteso dell’apprendere, in opposizione a una scuola che corre, spesso dimenticando di domandarsi dove stia andando. Egli propone un’educazione ecologica e umana, che riconosce la lentezza come condizione essenziale per la crescita, per la contemplazione, per il rispetto dei ritmi biologici e cognitivi di ciascun bambino. Il suo manifesto educativo è una critica radicale alla scuola prestazionale e una dichiarazione d’amore per un’educazione che pone al centro il bambino, i suoi tempi, le sue modalità, il suo diritto a sbagliare e a riprovare.

Il tempo lento, in questa prospettiva, non è inefficienza, ma attenzione, ascolto, profondità. È tempo della cura, della relazione, della costruzione autentica del sapere. Significa creare uno spazio in cui la meraviglia non venga soffocata dalla fretta, in cui la curiosità trovi modo di espandersi, e in cui anche il silenzio e l’attesa abbiano valore. La pedagogia della lumaca è, dunque, una pedagogia della resistenza: resistenza all’appiattimento, alla produttività cieca, all’ansia da performance. Una pedagogia che restituisce dignità all’apprendere come processo vivo, umano, trasformativo.

I tempi dell’apprendimento

Numerosi studi pedagogici e neuroscientifici confermano che ogni apprendimento profondo richiede tempo, per riflettere, per sbagliare, per rielaborare. L’acquisizione di una competenza non è mai istantanea, essa richiede un’esposizione ripetuta e variata ai contenuti, una rielaborazione personale e, soprattutto, la possibilità di fallire senza timore di giudizio. La metacognizione, ovvero la capacità di riflettere sui propri processi mentali, si sviluppa nel tempo lungo dell’attenzione sostenuta e della riflessione guidata, attraverso esperienze che stimolano la consapevolezza, l’autoregolazione e il pensiero critico.

Le neuroscienze ci mostrano che il cervello apprende meglio in un contesto emotivamente sicuro, dove la pressione non ostacola l’attivazione delle funzioni esecutive superiori come la pianificazione, il controllo inibitorio, la flessibilità cognitiva e la memoria di lavoro. L’apprendimento significativo, infatti, nasce dall’integrazione tra le emozioni e le funzioni cognitive, in quanto non si può imparare davvero in un ambiente che genera ansia, stress e paura del fallimento. La ricerca neuroscientifica dimostra come l’apprendimento sia facilitato da uno stato di benessere emotivo e da relazioni educative positive e stabili.

Pedagogicamente, il tempo lento consente di costruire conoscenze stabili e significative, favorendo la connessione tra teoria e pratica, tra emozione e cognizione, tra sé e il mondo. Solo un apprendimento che rispetta i tempi soggettivi può dirsi autentico e trasformativo, in quanto è in questo spazio dilatato che lo studente riesce a mettere in relazione i saperi, a integrarli nel proprio vissuto e a costruire una comprensione profonda e personale della realtà. La scuola che si prende il tempo per educare diventa così un luogo di crescita integrale, dove mente e cuore possono procedere insieme nel cammino della conoscenza.

La frenesia della valutazione sommativa

Nel paradosso di una scuola che chiede lentezza per apprendere ma impone rapidità per valutare, la valutazione sommativa diventa spesso un atto di frettolosa misurazione. La necessità di concludere un numero minimo di verifiche in un arco di tempo definito, specialmente nelle classi numerose, genera stress nei docenti e nei discenti, indebolisce il valore formativo della valutazione, e produce una selezione più che una valorizzazione. A ciò si aggiunge la triste realtà delle medie aritmetiche, che riducono il percorso di apprendimento a una somma di numeri, spesso incapaci di rappresentare l’evoluzione reale di uno studente.

Nonostante la recente riforma della valutazione nella scuola primaria abbia rappresentato un passo significativo verso il superamento di una logica quantitativa, introducendo giudizi sintetici descrittivi e criteri osservabili di competenza, tale approccio innovativo fatica ancora a radicarsi nei gradi successivi dell’istruzione. Nella scuola secondaria di primo e secondo grado, infatti, persiste l’utilizzo del voto in decimi come principale strumento valutativo, spesso calcolato in modo meccanico e sommativo.

Questa pratica privilegia il misurare più che l’osservare, la conoscenza teorica rispetto alla competenza concreta, penalizzando gli studenti attraverso voti facilmente sommabili, funzionali al calcolo di medie aritmetiche approssimate in eccesso o in difetto secondo la logica impersonale del mezzo punto. In tale contesto, il miglioramento individuale – spesso lento, profondo, e non lineare – viene raramente riconosciuto o valorizzato. La ricchezza del percorso di apprendimento si dissolve così in una cifra, in un giudizio numerico che non restituisce la complessità e la ricchezza dell’esperienza scolastica vissuta.

Il tempo della scuola si piega ancora troppo spesso a logiche amministrative e procedurali e alle urgenze della rendicontazione, piuttosto che ai bisogni autentici dell’apprendere. Così, l’educazione viene progressivamente ridotta a funzione certificativa, sacrificando la sua missione più alta: accompagnare ogni studente nel proprio personale cammino di crescita e scoperta.

Verso una valutazione autentica: il contributo di Mario Comoglio

In risposta a queste distorsioni, si fa sempre più urgente il ricorso alla valutazione autentica, ovvero a forme valutative che mirano a osservare competenze reali in contesti reali, restituendo significato e centralità al processo di apprendimento. A differenza della valutazione sommativa, che spesso si limita a misurare il risultato finale attraverso prove standardizzate, la valutazione autentica si configura come un processo dinamico, dialogico e continuo che coinvolge sia il docente che lo studente in un percorso condiviso di crescita.

Mario Comoglio, pedagogista e promotore delle rubriche di valutazione, sottolinea come valutare significhi accompagnare, guidare, comprendere, e non classificare, ma supportare. Le rubriche, in questo senso, non sono solo griglie tecniche, ma strumenti di mediazione educativa che favoriscono la trasparenza, la consapevolezza e la responsabilizzazione. Esse permettono di rendere visibili i criteri di successo, di esplicitare gli obiettivi formativi e di fornire un feedback strutturato e orientato al miglioramento.

La valutazione autentica permette anche di promuovere l’autovalutazione e la valutazione tra pari, rafforzando il senso critico e l’autoefficacia negli studenti. In questa logica, la valutazione torna ad essere parte integrante del processo educativo, non un giudizio esterno e finale, ma uno strumento per crescere, riflettere e trasformare le esperienze in apprendimento significativo. Essa diventa parte costitutiva del percorso formativo, contribuendo alla costruzione dell’identità personale e scolastica di ciascun alunno.

Compiti autentici, didattica per competenze e prodotti significativi

Il paradigma della didattica per competenze si fonda sulla costruzione di percorsi che culminano in compiti autentici e prodotti significativi. Questi ultimi sono in grado di restituire senso all’apprendimento scolastico, collegando le conoscenze teoriche alla vita reale e alle sfide concrete. I compiti autentici coinvolgono lo studente in attività complesse, pertinenti e rilevanti, stimolando la risoluzione di problemi, la creatività, il lavoro di gruppo e la comunicazione efficace. Un esempio concreto potrebbe essere la progettazione e realizzazione di una campagna di sensibilizzazione ambientale da parte degli studenti, che devono raccogliere dati, analizzarli, produrre materiali informativi e presentare il loro lavoro alla comunità scolastica o territoriale.

Attraverso i prodotti significativi, gli alunni sono messi nelle condizioni di esprimere il proprio potenziale e di riflettere sui processi che li hanno condotti a determinati risultati. Un laboratorio di scrittura narrativa, ad esempio, può culminare nella pubblicazione di un’antologia di racconti, dove ogni studente è chiamato a seguire tutte le fasi del processo creativo, dalla stesura, alla revisione, fino all’impaginazione finale e, perché no, anche alla registrazione del codice ISBN. Le rubriche di valutazione, centrali in questo tipo di approccio, non sono semplici strumenti di misurazione, ma vere e proprie mappe formative che orientano l’apprendimento, rendono visibili gli obiettivi e promuovono consapevolezza, autonomia e responsabilità nello studente. Esse permettono di valutare non solo il prodotto finale, ma anche il percorso, l’impegno, le strategie adottate e la capacità di collaborare con gli altri.

Inoltre, il paradigma della didattica per competenze si fonda proprio sulla costruzione di percorsi che culminano in compiti autentici e prodotti significativi, capaci di mettere in luce non solo ciò che l’allievo sa, ma soprattutto ciò che sa fare con ciò che sa. L’apprendimento diventa così un’esperienza trasformativa e concreta, radicata nella realtà. I compiti autentici coinvolgono lo studente nella soluzione di problemi reali o simulati, come l’elaborazione di un piano di marketing per un prodotto immaginario, la creazione di un podcast culturale, o l’organizzazione di un evento scolastico. Le rubriche di valutazione, in questo contesto, non sono solo strumenti tecnici, ma dispositivi pedagogici che promuovono consapevolezza, responsabilità e autonomia, rendendo ogni studente protagonista del proprio percorso.

Aspetti psicologici e pedagogici della valutazione

Sotto il profilo psicologico, la valutazione vissuta come giudizio definitivo può incidere negativamente sull’autostima, alimentare l’ansia da prestazione e minare la motivazione intrinseca degli studenti. Il timore costante di essere valutati e classificati può inibire la spontaneità, ridurre il piacere di apprendere e spingere verso strategie di studio superficiali o meramente strumentali al voto. Una valutazione autentica, al contrario, nutre il senso di autoefficacia, stimola l’impegno e la riflessione critica, contribuendo a costruire una mentalità di crescita che valorizza il percorso più del risultato.

Pedagogicamente, la valutazione autentica rispetta l’unicità dei percorsi di apprendimento, valorizza le intelligenze multiple, sostiene la personalizzazione dei curricoli e favorisce l’autonomia dello studente. Essa si fonda su una relazione educativa significativa, in cui l’insegnante assume il ruolo di mediatore e guida, piuttosto che di giudice. Questo approccio permette di rilevare i progressi, di cogliere le potenzialità ancora inespresse e di intervenire in modo tempestivo per supportare ciascuno secondo i propri bisogni.

Ad esempio, uno studente con un profilo logico-matematico più sviluppato potrebbe dimostrare le competenze acquisite attraverso la realizzazione di un progetto tecnico o la risoluzione di problemi complessi, mentre uno studente con un’intelligenza linguistica più marcata potrebbe esprimersi meglio attraverso la stesura di un racconto, di una poesia o di un testo argomentativo. Valutare tenendo conto di queste differenze significa promuovere l’equità, offrendo a ciascuno la possibilità di eccellere nel proprio modo.

Ripensare il tempo scolastico significa quindi ridefinire il senso stesso della valutazione: da traguardo misurabile a processo condiviso, da risposta giusta a domanda profonda, da momento ansiogeno a opportunità di crescita. È una trasformazione che investe non solo le pratiche didattiche, ma l’intera cultura scolastica, restituendo alla scuola la sua vocazione educativa e inclusiva.

Conclusione

Ripensare il tempo scolastico non è un’utopia, ma una necessità educativa e civile. È un atto di responsabilità verso le nuove generazioni, una scelta che implica il coraggio di mettere in discussione modelli obsoleti di scuola, costruiti su velocità, efficienza e conformismo. Solo se la scuola saprà rallentare il passo, potrà davvero accompagnare ogni studente nella complessità del suo cammino, riconoscendo le sue potenzialità e accogliendone le fragilità. Rallentare non significa rinunciare alla qualità o abbassare le aspettative, ma al contrario significa coltivare l’apprendimento in modo profondo, durevole, significativo.

Restituire tempo all’apprendimento significa dare dignità al conoscere, fare dello studio un’esperienza viva, personale e trasformativa. Significa rendere l’insegnamento un atto di cura, in cui l’educatore diventa guida attenta e paziente, e la valutazione smette di essere un ostacolo per diventare un ponte. Una scuola che sa rallentare è una scuola che sa ascoltare, che crea spazi di riflessione, che valorizza il dialogo e il silenzio, che investe sull’empatia e sulla fiducia. Una scuola, in definitiva, che educa alla vita, e non solo alla prestazione.

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