
Sviluppare Territori e Persone. Il contributo della scuola

di Filomena Zamboli*
L’avvio di un nuovo anno scolastico e la indispensabile progettazione dell’offerta formativa pone in evidenza una domanda cui val la pena dedicare qualche riflessione. A cosa serve la scuola e se essa ha un ruolo fondativo nello sviluppo di un territorio sì da determinare occasioni e possibilità per le giovani generazioni.
Dalla prospettiva di scrive ma non solo, siamo in presenza di alcuni “falsi positivi” da cui val la pena partire per affrontare correttamente la questione. A) se la scuola è attrattiva per i propri studenti; b) se per fare esperienze professionalmente qualificate essi devono necessariamente andare all’estero; c) se i nostri giovani per veder valorizzati i propri talenti, una volta completato il percorso di conseguimento del titolo di studio, trovano una corretta collocazione lavorativa fuori o dentro il proprio contesto di vita; d) se la scuola deve adoperarsi per arginare queste famose fughe di cervelli. E’, ormai, una constatazione corrente da parte delle famiglie, specialmente al centro/sud, che una giusta collocazione lavorativa dei propri figli comporti uno spostamento obbligatorio dai propri territori di residenza ed è, altresì, una convinzione acclarata, da parte dei genitori italiani, che i propri figli debbano precocemente fare esperienze all’estero, anche per periodi di vita lunghi. Si sente, d’altra parte, abbastanza frequentemente, che occorre cercare occasioni e possibilità per tenere i giovani ancorati al proprio territorio per garantire lo sviluppo dello stesso. Ebbene, se è del tutto naturale –e da sempre- che i giovani desiderano fare esperienza altrove e conoscere il mondo (come non ripensare a ciascuno di noi), il “falso positivo” non sta nell’impedire loro di andare rendendo attrattivo ciò che è prossimo e vicino ma rendere auspicabile il rientro e il radicamento dopo la necessaria e opportuna esperienza in contesti altri. Né è alieno al contesto scolastico, che a giusta ragione è deputato –e non da solo- ad occuparsi di orientamento formativo e vocazionale, impegnarsi perché i territori in cui svolge la propria mission educativa siano luoghi di sviluppo di persone e di comunità.
Allora la domanda potrebbe essere: in che misura la comunità sociale e il mondo del lavoro possono concorrere alla progettazione del percorso scolastico per garantire lo sviluppo economico e sociale del territorio e la permanenza dei giovani? Si tratta, però, ancora, di un interrogativo che sottende qualche equivoco. Un equivoco su compiti e impegni dei soggetti coinvolti. Tutti. Al fondo dei ragionamenti presentati occorre meglio circostanziare il ruolo determinante che la scuola deve e può giocare non solo come luogo in cui si possano sperimentare sinergie con il mondo del lavoro (e la sua necessità di approvvigionamento di risorse professionali) ma quale soggetto determinante dello sviluppo locale. Infatti, sviluppo a livello locale significa molto di più che attenzionare un territorio per le sue risorse lavorative! Significa partire dal presupposto che lo sviluppo non è la sola crescita economica ma crescita qualitativa e sostenibile declinata anche in termini di distribuzione della ricchezza e di benessere della comunità. Significa identificare i fattori di crescita locale: ambiente naturale, capitale infrastrutturale e culturale, lavoro, ma anche capitale umano e sociale. Significa innescare innovazione attraverso la valorizzazione/costruzione di filiere di conoscenza. “Se si considera il locale come dimensione attiva nei processi dello sviluppo, il modo di pensare il territorio deve essere coerente con tale visione. Vanno cioè tenute in conto differenze, specificità e identità territoriali così come le relazioni sociali che insistono sul territorio stesso, frutto delle intenzionalità e dalle azioni dei soggetti locali. La dimensione locale è quindi in grado di porsi come operatore attivo dei processi dello sviluppo solo se e quando gli attori locali definiscono azioni collettive rivolte al riconoscimento del ruolo svolto dai valori e dalle risorse territoriali, cui si accompagna la loro stessa capacità di azione e di autorganizzazione” (Memoli, 2017).
Vanno certamente riconosciuti i numerosi sforzi fatti negli ultimi anni, sia sul piano legislativo che strumentale. Sul versante scolastico la flessibilità organizzativo -didattica e la didattica per competenze; la costituzione dei Comitati Tecnico Scientifici fino ai più recenti Laboratori per l’occupabilità, le azioni di PCTO e l’implementazione del sistema duale e dell’apprendistato. Ma a tali sforzi non corrisponde un efficace evolversi del dialogo sistematico fra scuola e territorio e non ne conseguono ancora percorsi compiuti e diffusi, strumenti altri e valutazioni sul contributo della scuola allo sviluppo locale. La vera domanda, allora, è: la scuola può davvero essere un soggetto strategico dello sviluppo territoriale? Secondo quale impegno e con quali risorse? E come favorire la partecipazione degli studenti? E, soprattutto, gli studenti sanno cosa sia lo sviluppo locale? Manca qualcuno che rifletta con loro su come possano contribuirvi. Infatti, la progettazione e realizzazione dei percorsi per lo sviluppo delle competenze trasversali e l’orientamento postula un sistematico raccordo tra le scuole e il contesto socio-produttivo locale e deve considerare alcuni ineludibili aspetti. Primi fra tutti i diversi bisogni degli studenti, che gli stessi dovrebbero poter esprimere, cui debbono corrispondere percorsi di apprendimento flessibili, personalizzati e capaci di coinvolgerli efficacemente e di motivarli. Le esigenze formative della scuola, previste dal Piano dell’Offerta Formativa, i fabbisogni formativi delle aziende/enti del territorio, anche con riferimento al loro sviluppo, non possono essere il fulcro delle azioni di PCTO, perché si corre il rischio dell’equivoco di voler avviare gli studenti al lavoro per una loro immediata occupabilità, in un’ottica che contrasta con la dimensione formativa.
La scuola è, invece, un vero soggetto aggregante, propulsore e trainante di un contesto locale, capace di offrire servizi, mettere a disposizione risorse, cooperare nella lettura condivisa dei bisogni culturali e formativi del proprio territorio, di essere volano per la co-costruzione della cultura e del “capitale sociale”. La realtà italiana è disseminata di bellissime esperienze che vanno in questa direzione, manca, però, una sistematica progettualità, e risorse professionali dedicate che possano impegnarsi con continuità, per determinare azioni permanenti e radicate nel tempo, in sinergia con famiglie, enti locali, istituzioni e privato sociale. E non basta accrescere le risorse economiche necessarie a far fronte alle molteplici richieste a cui oggi la scuola è chiamata a dare risposta. Si percepisce, piuttosto, la fatica a riconoscere nelle scuole un soggetto attivo del territorio, del mercato del lavoro e dei percorsi di transizione. “Nonostante i tanti anni passati, gli attori locali non partecipano in maniera propositiva e operativa alla progettazione educativa delle scuole, né tantomeno coinvolgono organicamente le scuole nella progettazione territoriale, limitandosi a proporre attività sporadiche e non sempre funzionali alla realizzazione di una programmazione integrata. Sul fronte delle scuole, invece, la modalità dei progetti di istituto o dei percorsi di PCTO rappresenta un approccio che raramente prende in considerazione l’analisi sulle capacità di generare risultati oltre la durata dell’intervento, di reperire nuove risorse” (Ricerca Anpal Umbria). Non a caso l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (Goal 4.7) ci chiede di ripensare il modo di fare scuola affinché gli studenti possano comprendere la complessità e l’interdipendenza delle sfide globali che caratterizzano la nostra epoca e adottare conseguentemente scelte consapevoli sui diversi aspetti della sostenibilità e dello stretto legame tra fattori ambientali e cambiamenti sociali. Il rapporto fra scuola/lavoro/territorio, necessita della valorizzazione della realtà quale occasione unica da cui mutuare esperienze ricche di senso per gli studenti, l’occasione di “studiare” il lavoro nei contesti in cui si esplica, la collocazione esperienziale delle discipline, l’opportunità di intrecciare i percorsi educativi a momenti di collaborazione e scambio con le comunità locali di cui la collettività scolastica fa parte. Mi piace concludere con una affermazione del sociologo Sergio Belardinelli: “La scuola da questo punto di vista, specialmente oggi, ha una funzione decisiva e fondamentale. Quando dico così, non penso che l’educazione, la scuola, debbano in primo luogo servire a qualcosa. Piuttosto mi piace dire, un po’ provocatoriamente, che di per sé la scuola non serve a niente. E non serve a niente perché serve a tutto. Non bisogna andare a scuola perché bisogna diventare dei buoni cittadini o quello che volete. Si deve andare a scuola per diventare quello che siamo”. Compito di un contesto territoriale e dei soggetti/persone che lo abitano è creare le condizioni per scegliere.
*Dirigente scolastica liceo “Pascal” di Pompei
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