
Secondo ciclo: un silenzio eloquente
E’ possibile, e a questo punto anche probabile, che il decreto legislativo sul secondo ciclo della scuola “Moratti style” prenda atto (come fece a suo tempo il Decreto legislativo n. 112/1998) della sostanziale appartenenza degli istituti professionali (e a maggior ragione di quelli tecnici) al sistema di istruzione.
Anche in attuazione del D.Leg.vo 112 si sarebbero dovuti trasferire alla competenza delle Regioni alcuni istituti professionali a più spiccata vocazione formativa, in qualche modo i più affini ai corsi regionali di formazione professionale. Ma quando si trattò di individuarli, si prese atto del fatto che i curricoli e la vocazione degli istituti professionali avevano ormai acquisito i caratteri del sistema di istruzione secondaria di tipo liceale-tecnico: quinquennalità dei piani di studio (sia pure nella forma 3+2 anziché 2+3), biennio iniziale – dopo la messa a regime del “Progetto ‘92“, datata 1994 – largamente coincidente con quello degli altri indirizzi, conclusione con l’esame di maturità, insegnanti titolari di classi di concorso in molti casi identiche a quelle liceali-tecniche, dirigenti scolastici provenienti dalla carriera docente e così via.
Così anche i pochissimi istituti che avevano corsi soltanto triennali (arte bianca, orafi), passati in un primo momento sulla carta alle Regioni, finirono in pratica per rientrare nel sistema scolastico, a quel punto prolungando i corsi fino alla maturità.
Ora, non sembra possibile che un’operazione di grande respiro e rilievo come sarebbe stata la costruzione di un sistema di istruzione e formazione professionale realmente concorrenziale con quello liceale, anche in termini dimensionali, possa essere realizzata, in fine di legislatura, nell’attuale clima di scontro tra maggioranza e opposizione e di dissensi anche all’interno della maggioranza proprio sul problema del futuro dell’istruzione tecnico-professionale.
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