
Insegnanti dei professionali: no alla regionalizzazione
Solo il 48,6% degli insegnanti che prestano servizio negli attuali Istituti professionali di Stato (IPS) sarebbe disponibile a continuare ad insegnarvi qualora essi fossero inseriti nel costituendo “secondo canale”, ma di questi solo il 4% lo farebbe “in ogni caso”. Il 35,1% si dichiara invece indisponibile. E’ quanto risulta da una recente ricerca condotta dall’ISFOL su un campione di 1.680 docenti degli IPS ( http://www.tuttoscuola.com/ts_news_123-3.doc ). Le cose cambierebbero, però, se agli insegnanti utilizzati nel secondo canale (che la riforma Moratti definisce “sistema di istruzione e formazione professionale”) fosse garantito il mantenimento dello status di dipendenti dell’amministrazione statale, con le relative garanzie contrattuali (classi di concorso nazionali, diritto al trasferimento nel canale liceale). In tal caso il 65,6% si renderebbe disponibile. A questo punto diventerà determinante, nei prossimi mesi, la scelta che il ministro Moratti dovrà compiere tra un modello di “secondo canale” forte e articolato, nel quale trovino spazio e opportunità di sviluppo non solo gli IPS, ma anche buona parte degli Istituti tecnici (quelli che non si licealizzano), ed un modello debole, costruito essenzialmente sulle ceneri dell’ex formazione professionale regionale. Per ora le “Intese” realizzate tra lo Stato e le Regioni per sperimentare i “percorsi professionali”, il cui testo è reperibile nel sito del MIUR (www.istruzione.it), sembrano andare in direzione del modello debole, a forte dominanza progettuale e gestionale delle Regioni, e per ora anche privo di standard nazionali, che sarebbe stata “cosa buona e giusta” predisporre prima dell’avvio dei percorsi in previsione del riconoscimento a livello nazionale e non più regionale della qualifica professionale, nonché dei crediti utili all’eventuale prosecuzione degli studi. Attualmente, secondo le dichiarazioni del Ministro Moratti, “sono in uno stadio avanzato i lavori dei gruppi tecnici nei quali operano congiuntamente il nostro Ministero, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e le regioni per la definizione degli standard nazionali dei percorsi sperimentali, che saranno condivisi con tutte le parti sociali e le parti datoriali”.
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