Continuità didattica: è ancora un valore da salvaguardare?

Dopo che il Parlamento, in sede di conversione del DL 73/21 (sostegni-bis) si è ricreduto, abbassando da cinque a tre anni l’obbligo di permanenza in sede dei docenti che sono stati nominati in ruolo a cominciare dal 2020-21, si è aperta la caccia ad una particolare selvaggina nominata da molti, ma poco conosciuta in molte scuole: la continuità didattica. Sull’onda delle reazioni e dei commenti poco benevoli che hanno accompagnato alcuni recenti fatti di cronaca in cui era emersa in modo evidente e clamoroso l’inadeguatezza professionale di docenti di prima nomina, c’è chi si è domandato se mantenere obbligatoriamente quegli insegnanti nella scuola assegnata qualifichi effettivamente la continuità didattica o, invece, trasformi quel vincolo in un danno per gli alunni. Il vincolo di permanenza in sede, insomma, in quei casi fa bene agli alunni?

I casi arrivati all’onore delle cronache sottolineano ancora una volta l’assoluta necessità di accertare preventivamente l’idoneità e la competenza professionale di chi viene incaricato di formare e istruire i nostri ragazzi, ma da qui a fare di ogni erba un fascio ne passa. E non poco.

Le centinaia di migliaia di insegnanti bravi e competenti non fanno notizia, mentre un incapace o un violento sì.

Ci è sembrato ragionevole che l’obbligo di permanenza nella scuola assegnata venisse ridotto a tre anni; peraltro è bene ricordare che i docenti immessi in ruolo non sono stati “deportati” in quei territori, ma li hanno scelti per concorso o per iscrizione provinciale alle GAE.

Probabilmente il legislatore opportunamente non ha voluto infierire e ha tenuto conto anche degli interessi personali di quegli insegnanti; tuttavia in ambienti sindacali si teme, comunque, che l’obbligo di permanenza prolungata lontano da casa demotivi l’insegnante, inducendolo ad utilizzare ogni utile occasione per lasciare temporaneamente il servizio.

Noi siamo convinti che la continuità didattica vada garantita, soprattutto nei fatti più che nei proclami, e che, in particolare nei confronti degli alunni più fragili – quelli con disabilità soprattutto – si debba concretamente dare stabilità ai posti e agli insegnanti di sostegno per una tutela effettiva del diritto allo studio (anche quest’anno quasi un alunno su due si è trovato con un docente di sostegno diverso da quello dell’anno scorso).

Crediamo comunque che i più titolati ad entrare nel merito siano innanzitutto i genitori degli alunni, gli studenti (in particolare quelli delle superiori) e i dirigenti scolastici.

Ci piacerebbe conoscere una valutazione che faccia riferimento soprattutto alle proprie esperienze, anziché essere una semplice, pur apprezzabile, opinione.

(S.G.)

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