Le associazioni dei genitori adottivi chiedono un confronto con la Gelmini

Per i bambini adottati l’ingresso a scuola può diventare un calvario. Soprattutto se appena arrivati da un paese straniero. Non si sentono ancora pienamente figli dei loro nuovi genitori e devono anche affrontare un ambiente nuovo. Non ci sono regole, però, nella scuola italiana per garantire a questi alunni una buona accoglienza. E se un genitore ritiene che per il figlio sarebbe meglio rinviare di un anno l’inserimento scolastico, deve presentare un certificato di handicap. Per questo 21 associazioni di genitori adottivi e 35 enti autorizzati per l’adozione internazionale, hanno scritto al ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini, per chiedere “un confronto istituzionale tra il Ministero e chi opera ed è coinvolto nel mondo dell’adozione“.

Fra i problemi principali sottoposti all’attenzione della Gelmini, “l’impossibilità di rinviare l’inserimento di un bambino alla scuola elementare se non dietro presentazione di un certificato di handicap- si legge nella lettera inviata al Ministro-: un provvedimento inaccettabile che non tiene assolutamente conto del fatto che un bambino appena arrivato in Italia ha generalmente bisogno di un adeguato periodo di adattamento alla famiglia e al Paese, non solo per questioni linguistiche, ma soprattutto per acquisire le competenze socio affettive necessarie per un adeguato inserimento sociale“.

Non c’è mai stato un confronto fra genitori, enti abilitati all’adozione e ministero dell’Istruzione. “Con molti circoli didattici sono in corso progetti di inserimento -spiega Anna Guerrieri, vicepresidente dell’associazione Genitori si diventa-, ma non c’è nulla di organico a livello nazionale“.

E così accade che con una circolare l’Ufficio scolastico provinciale di Milano sancisca categoricamente che solo il certificato di handicap possa far rimandare l’entrata a scuola del bambino. “In altre parti d’Italia ci sono state famiglie che hanno presentato un certificato di disturbi del linguaggio o di depressione infantile – sottolinea Anna Guerrieri -, ma è sbagliato diagnosticare situazioni non vere o vere solo in parte“.