‘La chiusura del cerchio’: il dibattito sulla Formazione Professionale e sulle Politiche attive del Lavoro

Obiettivo 5% è realizzabile e auspicabile. Una filiera professionalizzate sino agli ITS in tutta Italia

Il dibattito “La Chiusura del Cerchio” voluto e organizzato da CNOS-FAP-Fap (Centro Nazionale Opere Salesiani – Formazione e Aggiornamento Professionale) con Aeca presso la Regione Emilia-Romagna, ha affrontato il tema della filiera professionalizzante della formazione in Italia in rapporto alle politiche attive per il lavoro, partendo da idee molto chiare.

È in atto un forte cambiamento di visione e approccio nei confronti dell’”altro” percorso di studi alternativo al tradizionale liceo-università, con l’affiancarsi della scelta formazione professionale-ITS (Fondazioni per Istruzione Tecnica Superiore) quale strada in vista di un lavoro. Una scelta però non sempre garantita.

Se la Formazione Professionale in questi ultimi anni ha avuto una crescita e in alcune Regioni rappresenta ormai il 15% circa (Piemonte, Lombardia, Emila Romagna, Sicilia) delle opzioni di studio dei giovani in altre è quasi inesistente:record negativo lo 0.99% della Calabria; quando si esplorano gli ITS si evidenza un sistema ancora più debole anche se eccellente per l’occupazione. In Italia è la scelta dello 0,65% dei ragazzi che proseguono dopo le superiori contro il 20% dei ragazzi d’oltralpe per citare i casi di Germania e Francia. Questo evidenza lo studio appena edito di Cnos-Fap e Noviter riassunto dal suo CEO Eugenio Gotti.

La filiera professionalizzante è parte integrante delle politiche del lavoro (PAL) perché i corsi sono attivati in sinergia con il territorio e le diverse vocazioni produttive un’intuizione non di oggi sottolinea il CNOS-FAP “i salesiani hanno iniziato oltre 170 anni fa a creare occupazione per il mondo reale produttivo, non viceversa. – dice Enrico Peretti DG Cnos-Fap – si parla di 22.500-25.000 giovani formati tutti gli anni per un’occupazioneOggi vogliamo maggiore sviluppo – persegue Peretti – Qui in Emilia Romagna per esempio c’è stato un miglioramento, la disoccupazione è diminuita dal 9% al 6%,e anche grazie alle scelte sulla formazione e politica occupazionale che sono state molto favorevoli sino agli ITS”.

A confortare, o sconfortare, questa linea di indirizzo il fenomeno delle Accademy Aziendali, molte imprese necessitano di formazione specifica e non trovando personale già formato o devono aggiornarlo, quindi si strutturano internamente per formalo o subaffittano ai formatori la gestione di corsi ad hoc. Segno di un ritardo e di una carenza del sistema formativo del Paese. L’opzione però è difficilmente percorribile dalle PMI diffusissime in Italia. Un obiettivo realizzabile che si propone il mondo della formazione è raggiungere il 5% di iscritti all’ITS a breve, sottolineano gli enti di formazione e l’associazione di categoria FORMA e chiede Cristina Grieco del Coordinamento regionale per il Lavoro, ricordando che oltre l’80% dei ragazzi è subito occupato, ma il 70% del percorso è finanziato dalla regione tramite bandi, quindi purtroppo non in continuità. Gli ITS devono esser flessibili per la loro natura che parte dalle richieste dell’imprese, ma stabile e chiaramente identificabile per consentire a giovani e famiglie di sceglierlo, come proposta di successo.

Scenari e quesiti su cui il dirigente MIUR professoressa Amanda Ferrario, in vece del Ministro Marco Bussetti si è espressa con chiarezza affermando: “la dicotomia tra liceo e istituti tecnici o formazione, va superata, spesso la scelta di base si effettua su una consuetudine culturale, però non è sempre la scelta giusta per il ragazzo. Per la fascia d’età successiva alle superiori, come ministero, stiamo lavorando per potenziare gli ITS: quando sviluppati sul territorio forniscono figure qualificate e giovani, già nel mondo del lavoro a 22-23 anni. Gli ITS non sono tutti uguali, nascono per esser diversi a seconda della collocazione territoriale. Ci sarà anche un terzo investimento per la ricerca e sui poli tecnologici con stretta connessione con il mondo produttivo. Ai giovani dobbiamo dare strumenti, non ricette perché siano in grado di crescere ed evolversi nell’arco della vita intera lavorativa.”

 È stata ricordata inoltre che la connessione lavoro – formazione è evidente e ad esempio che le politiche di lavoro in caso di una specifica presa in carico delle fasce deboli e disoccupati si dovrebbero offrire prima di proposte concrete di lavoro, la capacità di essere in grado di lavorare considerato quanto il mercato è in grado di offrire, quindi per essere occupabile c’è bisogno di una formazione specifica e se necessario, anche lunga. La formazione professionale a tutti i livelli è una grande politica attiva per il lavoro.

AECA, come Associazione nata nel 1973, ha sostenuto e co-organizzato la giornata di lavoro perché ritrova nei temi e negli obiettivi i principi fondativi del suo essere. La Formazione Professionale è in sé una politica e necessita di coesione per essere efficace ha ricordato Andrea Biondi, direttore di AECA. Per arrivare all’occupazione dobbiamo prendere in carico le persone e prenderlo in carico come formazione significa superare le tante sigle che disorientano. Solo uniti si ottengono risultati soddisfacenti.