Un sol grido: Io speriamo che ma la cavo…

Scuola, Sanità e Trasporti sono le tre voci di spesa sulle quali si è più spesso intervenuti per fare fronte ai problemi di spesa pubblica che il Paese ha dovuto affrontare negli ultimi decenni. Impossibile pretendere che, alla prova di una pandemia importante come quella che stiamo attraversando, questi sistemi, dopo anni di tagli, potessero reggere la prova in modo efficace. Se, nella fase più acuta della crisi pandemica, è toccato alla Sanità “richiamare le riserve dalla retrovia” (ossia far rientrare i medici in pensione), oggi la grande preoccupazione sono i trasporti e la scuola, chiamati ad affrontare la prova cruciale della ripresa dell’attività scolastica, il Grande Assembramento che mette in moto otto milioni di studenti, le loro famiglie, gli operatori scolastici, le strutture amministrative, le mense e quant’altro collegato alla vita della scuola. Si comincia, al mattino, con le metropolitane e le corriere affollate, si prosegue in aule che, per poter consentire che abbia una scuola, com’è suo diritto, anche il paesino arroccato sul cucuzzolo della montagna, sono riempite fino al limite della capienza nelle aree urbane: ecco perché poi le statistiche ci restituiscono l’immagine di una densità media di alunni per classe tutto sommato accettabile, addirittura al di sotto di altri grandi paesi europei; si tratta del famoso pollo di Trilussa.

Il 14 settembre, dunque, le scuole aprono, non dovunque visto che sette regioni hanno deciso di posticipare questa scadenza.  il Grande Circo il suo nuovo Tour. Si riprende avendo appurato che c’è un certo numero di docenti che è risultato positivo ai testi sierologici (quello che si è potuto accertare, visto che i test non sono obbligatori) e non avendo idea di quanti possano essere gli studenti asintomatici. Si riprende con carenza di spazi e personale alle Superiori, che si è ritenuto possano continuare a fruire, almeno in parte, di Didattica Digitale Integrata, come si chiama ora la didattica a distanza, mentre nel primo ciclo di istruzione si è misurato il centimetro e si spera che i giovani discenti siano “statici” e non “dinamici”, cioè non si muovano dalla postazione loro assegnata. Si è fatto ricorso a ogni forzatura e a ogni spazio, con l’aiuto delle diocesi, ma ignorando i tanti appelli delle scuole e la proposta del maggio scorso di Tuttoscuola che chiedevano di ripartire almeno dopo gli appuntamenti elettorali programmati, per non dover sottoporre i locali scolastici a ulteriori sanificazioni, oltre quelle necessarie alla ripartenza. Registriamo, in proposito, la coraggiosa presa di posizione di alcuni sindaci laziali, tra i quali quelli di Rieti e Viterbo, che hanno autonomamente disposto la riapertura il 24, anziché il 14 settembre, in conseguenza della delega loro attribuita dalla Giunta regionale del Lazio, che si è così sottratta all’ingombrante onere della decisione.

Si riprende con i soliti vuoti d’organico che, anche perché le graduatorie concorsuali sono in gran parte esaurite, dovrebbero essere colmati con le nuove Graduatorie Provinciali per le Supplenze, a proposito delle quali molti candidati segnalano errori che hanno portato a dure prese di posizioni dei sindacati, ma che vengono difese dall’Amministrazione, che ha disposto la definitività delle graduatorie stesse, protette, così, dalla presunzione legale di correttezza.

Si riprende, poi, come se la scuola statale fosse l’unico agente formativo sul territorio, dimenticando i grandi serbatoi non riconducibili allo Stato: le scuole paritarie, la formazione professionale e la scuola comunale (scuola dell’infanzia, oltre i nidi): sottosistemi di centinaia di migliaia di utenti ai quali non sono stati dettati canoni di sicurezza simili a quelli statali, né è stato attribuito organico aggiuntivo o sono stati forniti spazi per garantire il distanziamento sociale.

Ancora una volta, il grido del maestro D’Orta risale spontaneamente dalla scuola italiana: Io speriamo che me la cavo!