Tornare a stretto giro tra i banchi? La scuola non è un ospedale. L’appello dei presidi

Da diverse ore circola in rete la lettera al comitato tecnico scientifico di un gruppo di parlamentari: Lia Quartapelle, Laura Boldrini, Elena Carnevali, Rosa Maria Di Giorgi, Chiara Gribaudo. Vanna Iori, Beatrice Lorenzin, Debora Serracchiani, Paolo Siani, Serse Soverini, Alessia Rotta. La richiesta è chiara: riaprire velocemente le scuole per non rischiare di trovarsi davanti a soluzioni improvvisate da parte di genitori alle prese con il rientro al lavoro e con figli a cui badare. “I bambini andranno dai nonni – scrivono i parlamentari – e il fai da te può rappresentare un rischio molto serio”. Pubblichiamo di seguito una risposta interessante a questo appello, la lettera che un gruppo di dirigenti scolastici ha scritto al Comitato tecnico scientifico. Tra i firmatari Stefano Sancandi, preside del liceo Primo Levi di Roma.

“La scuola non è un ospedale

La richiesta presentata al Comitato tecnico scientifico da un gruppo di autorevoli parlamentari per la riapertura delle attività educative già da maggio,“soppesando attentamente le gravi conseguenze educative, psicologiche e di salute che il perdurare dell’isolamento può avere sui bambini e sulle loro famiglie” ci trova concordi nel riconoscere il grave problema sociale che si è generato con la chiusura delle scuole.

Gli aspetti pesantemente negativi connessi al confinamento domestico che sono stati richiamati dai parlamentari sono molteplici: dai rischi per la salute fisica e psicologica dovuti alle condizioni di scarsa possibilità di movimento, all’aumento delle violenze in ambito familiare; dalle disparità delle condizioni economiche e quindi degli strumenti a disposizione per seguire la didattica a distanza che rischiano di produrre odiose discriminazioni,alla difficoltà di assicurare a una fascia di bambini una sana alimentazione; dalla condizione di estremo disagio in questa situazione degli alunni con bisogni educativi speciali o affetti da disabilità, al pericolo generalizzato per tutti rappresentato dall’esposizione prolungata ai dispositivi elettronici, con il rischio di danneggiare lo sviluppo psicologico dei bambini.Riconosciamo queste problematiche.

Sono preoccupazioni che non possiamo che condividere, consapevoli delle serie difficoltà che la popolazione sta vivendo e in particolare dei disagi vissuti dai nostri allievi, piccoli e grandi, e dalle loro famiglie. Siamo di fronte quindi ad un gravissimo problema sociale di amplissima rilevanza.

La nostra osservazione è la seguente: se il problema è sociale e investe l’intera comunità, saremo tutti concordi nel ritenere che i rischi connessi alla riapertura delle scuole debbano essere riconosciuti come rischi da assumere a livello sociale. Rischi di cui l’intera comunità deve essere chiamata a farsi carico. Perché la realtà è che la riapertura delle scuole comporterà inevitabilmente dei rischi. Riportare contemporaneamente centinaia di alunni nelle nostre scuole (con tutti i turni possibili e immaginabili stiamo comunque parlando di centinaia di alunni presenti contemporaneamente) ci esporrà al serio rischio di contagio. Ci sarà il rischio perché il distanziamento che sarebbe teoricamente necessario non sarà realisticamente realizzabile, visti i numeri e la natura dei soggetti coinvolti: bambini o ragazzi desiderosi di muoversi, di comunicare, di aggregarsi, di scambiarsi segni di affetto. Non sarà possibile trasformare Maestre e Professori in guardiani che riescano a imporre pienamente il distanziamento. Stiamo vedendo in questi giorni nelle nostre città cosa accade in presenza di adulti che tornano ad occupare gli spazi pubblici.

Credere che “i ricchi contributi della comunità scientifica, di esperti della scuola, think-tank, organizzazioni internazionali e educatori, nonché gli esempi di altri stati europei, abbiano suggerito soluzioni operative in grado di garantire una riapertura di scuole e asili in un contesto di sicurezza” significa forse aspettarsi che siano le scuole a dover garantire che non ci saranno contagi e che non scoppieranno nuovi focolai infettivi?

Noi crediamo di no. Noi crediamo che la garanzia del rischio zero in una scuola sia una aspettativa irrealistica. Noi crediamo che nessuno possa garantire, nessuno, che riportando centinaia di persone, non solo gli allievi (non dimentichiamo i Docenti, il Personale amministrativo e i Collaboratori scolastici), in ambienti in cui i contatti saranno inevitabili non si correranno dei rischi di nuovi contagi e di nuovi focolai infettivi. Le scuole sono costruite e vissute strutturalmente per favorire le aggregazioni e gli scambi ravvicinati tra le persone. E sono anche mediamente sovraffollate. I turni e i banchi a distanza sono soluzioni fantasiose che può immaginare chi la scuola non la vive da molto tempo e non conosce i numeri e le misure reali effettivamente in gioco. Numero degli alunni e metri quadrati a disposizione non lo consentono.

Se l’esigenza sociale da soddisfare è ritenuta comunque prevalente sui rischi potenziali di contagio, si accettino tali rischi.Si dichiari pubblicamente che si è disposti a prendersi la responsabilità degli esiti, positivi o negativi. Non si usi l’argomento della necessità della riapertura per far svanire i rischi connessi. Non si creda di poter far sparire magicamente il rischio del contagio con qualche documento ben scritto, con un complesso protocollo che preveda sulla carta ogni possibile situazione e sempre sulla carta la prevenga, perché in tal modo avremo solo scaricato sulla scuola la responsabilità di una eventuale diffusione del virus. La scuola non merita questo.

Accettare i rischi significa riconoscere l’esigenza prevalente e seguire la scelta che si ritiene meno gravosa o pericolosa ma non può significare ignorare la realtà e pretendere garanzie da chi non può fornirle.Abbiamo avuto problemi enormi nelle strutture ospedaliere, con esiti tragici, e voi credete davvero che nelle nostre scuole si possa garantire quello che a malapena possono garantire ospedali come lo Spallanzani di Roma o il Sacco di Milano?

La scuola italiana ha già dimostrato di essere pronta a rispondere alle esigenze generali, si è attivata e ha compiuto il proprio dovere lavorando e seguendo a distanza gli alunni in questa tragica circostanza. La scuola è pronta a continuare fare la sua parte, ad assumersi il compito di sostenere le giuste esigenze della popolazione. Ma non si carichi sulle sue spalle, tramite l’imposizione di appositi protocolli, oltre al lavoro che le compete anche la responsabilità di assicurare quello che non le è possibile assicurare: la lotta al virus, la garanzia dei contagi a zero, l’assenza di nuovi focolai.

Forse si dovrebbe riconoscere che c’è qualcosa che non va se, per garantirsi dal contagio nelle scuole, sono necessari protocolli di sicurezza da laboratorio di ricerca biologica. Se invece si valuta la situazione meno grave, o il rischio accettabile, noi siamo pronti a fare la nostra parte. Siamo pronti a mettere in campo la nostra esperienza e la nostra professionalità di operatori dell’educazione e della formazione, con i nostri mezzi e le nostre procedure consolidate per assicurare il miglior rientro e l’accoglienza che meritano i nostri allievi. Possiamo usare in aggiunta le mascherine, distribuire gel disinfettante, tenere pulita la scuola e arieggiare spesso i locali ma non chiedeteci di più. La scuola non è un ospedale.

La scuola italiana è pronta a fare la sua parte, continuando ad assumersi le responsabilità che le competono. La società, dai cittadini ai loro rappresentanti, faccia altrettanto e si assuma le sue di responsabilità, così insieme e con l’impegno di tutti potremo affrontare nel giusto modo l’emergenza che ancora ci sfida”.

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