Da sud a nord: quel piano inclinato della scuola italiana

Bastano due dati a inquadrare il fenomeno a colpo d’occhio: solo il 39% degli studenti italiani risiede al sud, Isole incluse (18 anni fa era il 47%); mentre il 70-80% dei docenti è nato nel meridione.

I numeri parlano chiaro:

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In meno di vent’anni le scuole meridionali hanno perso mezzo milione di studenti (-14%), mentre quelle del centro-nord hanno riempito le aule con quasi 800 mila studenti in più (in larga parte stranieri): un incremento del 20%.

Ci sono quindi fenomeni demografici, ma anche sociali, che hanno spostato negli anni il baricentro della scuola italiana, mettendola su un piano inclinato: più studenti al centro-nord spingono un gran numero di docenti, concentrati nel meridione, verso nord. E di fronte a queste tendenze strutturali non c’è algoritmo che tenga: nessuna formula matematica potrebbe creare tante cattedre al sud da occupare la sovrabbondante offerta di lavoro che lì si manifesta.

Siamo di fronte a una vera e propria emigrazione di docenti meridionali verso il nord, migranti intellettuali sbarcati in molti casi da atenei del sud rincorrendo il  miraggio di una cattedra che non c’è per tutti, almeno in quelle aree del paese. Un flusso migratorio che richiama quello degli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso. Dall’emigrazione sud-nord di allora verso le fabbriche a quella verso le cattedre degli anni duemila.

Solo che in questo caso si registra un controesodo a livello amministrativo: con lo strumento della mobilità decine di migliaia di docenti freschi di immissione in ruolo su posti prevalentemente al centro-nord tornano verso sud (spesso solo avvicinandosi, ma comunque in tal modo creano movimenti di cattedre), liberando posti nelle scuole del centro-nord, a loro volta occupati da nuovi assunti, in gran parte meridionali, che alla prima occasione chiederanno il trasferimento verso casa. E la ruota gira, mentre generazioni di studenti vedono cambiare di anno in anno una quota elevata dei propri insegnanti.

Un fenomeno inatteso? No, bastava leggere con attenzione – una decina d’anni fa – i trend demografici in atto da tempo (calo delle nascite al sud, calo anche al centro-nord di italiani, più che bilanciato però dai nati di nazionalità non italiana) e incrociarli con i dati sullo squilibrio territoriale tra i docenti in cerca di cattedra: uno studio del Miur del 2007 sulle GAE (Graduatorie Ad Esaurimento, dalle quali, in assenza di nuovi concorsi – il successivo è stato fatto nel 2012 – si sarebbe attinto per le immissioni in ruolo degli anni a seguire) metteva nero su bianco che il 67,5% degli iscritti (160.157 su 237.252) risiedeva nel Mezzogiorno. E altri 33 mila docenti residenti in meridione, pari al 13,9% del totale iscritti, risultavano iscritti in province centro-settentrionali. Complessivamente, dunque, quasi l’82% era residente nel Mezzogiorno.

Prendiamo poi i dati dei docenti trasferiti la scorsa estate, di cui si conosce la provincia di nascita: risulta nato nel Mezzogiorno (Sud e Isole) il 78% dei docenti trasferiti (l’82% dei maestri di primaria e il 71% dei professori di scuola media).

È la fotografia di un fenomeno sociale che presenta un quadro inequivocabile e drammatico: nelle ultime leve di insegnanti entrati nei ruoli statali quasi otto docenti su dieci sono meridionali e i restanti due sono nati al centro-nord, dove vivono sei studenti su dieci.

È una conferma che il Mezzogiorno, da decenni avaro di posti di lavoro, privilegi come valvola di sfogo occupazionale l’insegnamento, mentre i giovani delle altre aree territoriali sembrano non prioritariamente interessati a questa professione, grazie forse a più favorevoli offerte di lavoro locali.

A nostro avviso il baricentro potrà raddrizzarsi solo con misure strutturali a lungo termine, che sono finora mancate.

Quel travaso artificiale di posti dal nord al sud
Per mettere una pezza allo sbilancio che si è creato negli anni per effetto dei trend demografici, l’amministrazione scolastica, oltre a consentire il “trasferimento selvaggio” a prescindere dalle esigenze del servizio, ha cercato di contenere il travaso di posti di lavoro dal sud al nord per motivi demografici. Come? Di fatto mettendo più alunni nelle classi del centro-nord e meno in quelle del sud (lasciando così in vita più classi e quindi più posti di docente). Il fenomeno emerge dall’analisi del rapporto alunni/classi: nell’anno scolastico 2016/17 le classi del centro-nord contengono in media 21,6 studenti, quelle del sud e delle Isole 20,4 studenti. A livello regionale, in Lombardia ci sono 22 studenti per classe, in Calabria 19. Questo implica un travaso di posti di insegnante: se si disponessero gli studenti lombardi su classi in media da 19, bisognerebbe creare più classi e quindi più cattedre. Si può stimare che se si riequilibrasse la situazione, rispetto alla media nazionale di 21,1 studenti per classe, si costituirebbero circa 2.240 classi in più in Lombardia e 1.485 classi in meno in Calabria. Alla media nazionale di 1,7 docenti per classe, si creerebbero 3.800 posti in più in Lombardia e 2.500 in meno in Calabria. In generale il travaso di posti dal centro-nord al meridione avvenuto in questi anni per effetto dell’applicazione di un diverso rapporto alunni/classi sul territorio è stimabile in circa 5.170 classi, corrispondenti a circa 8.800 posti.

Una politica che è stata applicata gradualmente nel tempo, come si vede confrontando la situazione di quest’anno con quella del 1998-99.

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Da notare che insegnare in classi con più alunni, e con maggiore presenza di alunni stranieri, è indubbiamente più oneroso.

Insomma al nord c’è maggiore precarietà, più rotazione di insegnanti, più alunni per classe, anche se i risultati negli apprendimenti dei test Ocse-Pisa e dell’Invalsi sono superiori rispetto al Sud.

Entrando nel dettaglio per grado di scuola e per Regione, nella scuola statale dell’infanzia nell’a.s. 2016-17, rispetto alla media nazionale di 22,6 bambini per sezione, le situazioni regionali estreme vanno dal 19,4 del Molise al 24,1 della Toscana, Emilia Romagna e Lombardia. Nelle aree il rapporto è questo: 21,3 bambini per sezione nelle scuole dell’infanzia del Mezzogiorno e 23,6 in quelle nel Nord.

Nella scuola primaria, rispetto alla media nazionale di 19,6 alunni per classe, le situazioni regionali estreme vanno dal 17 del Molise e 17,1 della Calabria al 21 dell’Emilia Romagna. Nelle aree il rapporto è questo: 18,8 alunni per classe nelle scuole primaria del Mezzogiorno e 20,1 in quelle nel Nord.

Nella scuola secondaria di I grado, rispetto alla media nazionale di 21,2 alunni per classe, le situazioni regionali estreme vanno dal 18,8 della Sardegna al 22,5 dell’Emilia Romagna. Nelle aree questo il rapporto: 20,5 alunni per classe nelle scuole secondarie di I grado del Mezzogiorno e 21,7 in quelle nel Nord.

Nella scuola secondaria di II grado, rispetto alla media nazionale di 22,1 studenti per classe, le situazioni regionali estreme vanno dal 19,6 della Sardegna al 23,1 dell’Emilia Romagna e Lombardia. Nelle aree il rapporto è questo: 21,4 studenti per classe nelle scuole secondarie di II grado del Mezzogiorno e 22,8 in quelle nel Nord.

Uno squilibrio territoriale ancora più accentuato si registra nel segmento dei posti di sostegno.

Insomma, le strade della mobilità selvaggia e del non omogeneo rapporto alunni/classi non sembrano quelle più lungimiranti.