Il grave problema dei fragili: docenti e familiari degli alunni

Per un docente o un Ata non basterà avere più di 55 anni per essere considerato persona fragile da tutelare. All’età dovrà essere associata una patologia di una certa gravità. Il ministero della Salute, con la circolare n. 13 del 4 settembre scorso, ha confermato che “il concetto di fragilità va individuato in quelle condizioni di salute del lavoratore rispetto alle patologie preesistenti che potrebbero determinare, in caso di infezione, un esisto più grave o infausto… Con specifico riferimento all’età, va chiarito che tale parametro, da solo, anche sulla base delle evidenze scientifiche, non costituisce elemento sufficiente per definire uno stato di fragilità”.

Il personale scolastico che ritiene di trovarsi nelle condizioni di fragilità può chiedere di essere sottoposto all’accertamento. Sono appena circa 300 i docenti che si sono recati negli ambulatori dell’INAIL. Ma il numero è destinato ad aumentare dopo gli accertamenti.

Si stima che siano alcune migliaia i lavoratori che potrebbero essere dispensati e per i quali ci sarebbe da individuare un supplente.

Se si considera che mediamente in ogni istituzione scolastica ci sono due-tre persone con patologie invalidanti o da considerare immunodepressi, si può stimare che i fragili nella scuola siano non meno di 20 mila.

La maggior parte di loro non attenderà il benestare ufficiale della visita INAIL o forse nemmeno lo richiederà, provvedendo in proprio a mettersi al riparo da qualsiasi rischio di contagio. Utilizzerà al massimo i periodi contrattuali di assenza per malattia anche a costo di vedersi ridotto lo stipendio: 18 mesi di cui i primi nove a stipendio intero, i successivi tre mesi al 90% e i restanti nove al 50%.

Ci sono altre persone fragili che, però, non possono nascondersi o proteggersi utilizzando congedi di malattia come gli altri lavoratori.

Sono i familiari degli alunni che si trovano nelle stesse condizioni di fragilità dei lavoratori, con patologie in atto o immuno depressi.

Tremano per il timore che il figlio tornando da scuola possa essere veicolo del contagio.

A loro dovrebbero pensare quei docenti che, rivendicando il diritto di autonoma decisione per sottoporsi al test sierologico, si pongono in situazioni di rischio verso gli altri.