Maturità da riformare. Interviene Giorgio Allulli

Il dibattito apertosi nei giorni scorsi sulla composizione delle commissioni d’esame di maturità si amplia positivamente, come proposto da Tuttoscuola anche nella newsletter dello scorso lunedì, ad una riflessione sull’esame nel suo insieme. Pubblichiamo a questo proposito un intervento di Giorgio Allulli, che è stato il promotore dell’appello contrario al ripescaggio della formula morattiana della commissione senza membri esterni, appello che è stato sottoscritto da migliaia di insegnanti, organizzazioni ed esperti, e che ha certamente influito sulle decisione del Governo di rinunciare all’operazione.
In calce all’articolo di Allulli riproponiamo le tre news sull’esame pubblicate nella NewsletterFOCUS di Tuttoscuola dello scorso lunedì 3 novembre.

 

Riformare in profondità l’esame di Stato

Scongiurato il pericolo della eliminazione del basilare principio della terzietà dalla verifica finale degli esiti del percorso formativo degli studenti italiani, per il ritorno ad una formula che aveva già evidenziato tutti i suoi limiti ed era stata successivamente cancellata per manifesta inadeguatezza, occorre mantenere alta l’attenzione su come riformare gli esami di Stato.

Le questioni da affrontare sono fondamentalmente due: la prima è molto urgente, e riguarda l’adeguamento delle prove di esame al nuovo ordinamento della scuola secondaria introdotto dalla riforma Gelmini, dato che quest’anno arriveranno al termine del ciclo quinquennale le classi dei nuovi indirizzi previsti dalla riforma. Occorre dunque introdurre delle prove coerenti con il curriculum seguito dagli studenti durante il corso di studi.

La seconda questione è più complessa, perché l’esame di Stato richiede qualcosa di più di una semplice manutenzione: il dibattito di questi giorni, oltre all’opposizione al progetto ministeriale, ha messo anche in luce i molti limiti della configurazione attuale dell’esame: scarso valore selettivo, differenziazione dei criteri di giudizio tra le diverse aree del Paese, scarsa considerazione delle competenze acquisite dagli alunni. E’ tempo dunque di ripensare in profondità l’assetto dell’esame, per superarne i molti limiti che tanti in questi giorni hanno evidenziato. Con quali interrogativi, prospettive, e strumenti? Provo a ricordarne qualcuno:

–  La funzionalità della natura e delle caratteristiche delle prove scritte agli obiettivi della nuova secondaria.

– Il bilanciamento delle prove tra scritto ed orale: negli altri Paesi l’esame scritto ha un ruolo preponderante, mentre da noi assorbe 45 punti dei 100 a disposizione della commissione.

– Il bilanciamento tra esame finale e carriera scolastica, alla quale oggi vengono assegnati 25 punti su 100.

– L’opportunità di assegnare un punteggio generale oppure di un punteggio dettagliato almeno per alcune materie.

– La necessità di utilizzare le nuove tecnologie per rendere più efficiente la distribuzione e la correzione delle prove.

–  L’opportunità di introdurre una correzione centralizzata delle prove scritte, come in Francia, Germania e Regno Unito, e/o la definizione a livello centrale di criteri omogenei di correzione.

–  L’utilizzo di prove standardizzate (sull’esempio inglese  degli A level); da tempo si discute dell’introduzione di una terza prova predisposta dall’Invalsi.

–  La certificazione delle competenze acquisite, già prevista dalla normativa vigente.

–  La valorizzazione dei percorsi in alternanza scuola-lavoro.

Infine sullo sfondo di questi interrogativi più “tecnici” rimane la questione politica del valore legale del titolo di studio. Si tratta di questioni ed interrogativi di grande rilevanza, perché l’esame finale del percorso scolastico rappresenta uno snodo strategico del governo del sistema educativo di un Paese, e modificarne assetto e contenuti significa modificare profondamente gli equilibri nel sistema organizzativo e valutativo della scuola italiana.

Giorgio Allulli

 

DALLA NEWSLETTER FOCUS DI TUTTOSCUOLA N. 535/656 DEL 3 NOVEMBRE 2014

1. Maturità 2015: indietro tutta

E alla fine, dopo un crescendo di indiscrezioni e conferme da parte dello stesso ministro dell’istruzione Stefania Giannini, la notizia del ritorno alle commissioni d’esame senza membri esterni salvo il presidente – un format già adottato tra mille polemiche da Letizia Moratti tra il 2002 e il 2006 – si è rivelata infondata, o meglio è stata affondata alla vigilia dell’approvazione della Legge di stabilità da un ripensamento su cui ha inciso molto l’opinione di una vasta coalizione di critici capitanata da Giorgio Allulli, autorevole ricercatore ex Censis e Isfol, il cui appello volto a chiedere il ritiro della misura ha raccolto migliaia di firme, tra cui quelle di molti tra i maggiori esperti di scuola.

Su che cosa fare per cambiare in meglio l’esame le opinioni dei sottoscrittori dell’appello sono probabilmente diverse, mentre unanime è stato il rifiuto del modello Moratti-Giannini (che non esce bene da questa vicenda), giudicato da tutti peggiore di quello in vigore.

Sembra che la decisione last minute di rinunciare ai 140 milioni di risparmio derivanti dalla eliminazione dei commissari esterni sia stata presa direttamente dal presidente Matteo Renzi, preoccupato per le ripercussioni negative che l’operazione avrebbe avuto sull’immagine di un governo che fin dal suo insediamento aveva messo la scuola in cima all’elenco delle priorità. E che proprio in questi giorni sta producendo il massimo sforzo collegiale a sostegno della campagna per la ‘Buona Scuola’.

Circolano anche voci, non confermate, sui dubbi che sarebbero affiorati negli uffici del Quirinale in sede di esame della bozza iniziale della Legge di stabilità, che conteneva il provvedimento sulle commissioni d’esame. Ma certamente a fermare l’operazione non sono state ragioni di tipo formale o procedurale (non mancano i precedenti di decisioni simili passate in altre leggi finanziarie) ma politiche.

2. Maturità 2015/2. Ma una riforma è urgente

Lo stop and go, e anzi in questo caso il go and stop registratosi sulla vicenda dei commissari d’esame, non significa che ci si debba accontentare dell’esame così com’è, una volta scampato il pericolo di cadere dalla padella nella brace.

Le altissime percentuali di promossi – praticamente le stesse con e senza commissari esterni – la bassa attendibilità del voto finale, che vede i candidati del Nord penalizzati rispetto a quelli del Sud (come Tuttoscuola ha mostrato fin dal suo primo Rapporto sulla qualità nella scuola), la scarsa considerazione nella quale tale voto è tenuto delle università e dai datori di lavoro (salvo le pubbliche amministrazioni), l’antiquata ritualità delle prove attualmente previste, gli inviti delle organizzazioni internazionali (Ocse e UE) a sintonizzare sempre di più i titoli di studio nazionali con le classificazioni internazionali basate su livelli di competenza: tutto questo rende necessario e urgente rivedere in profondità l’attuale modello di esame. Sempre che lo si voglia mantenere, come d’altra parte la nostra Costituzione impone e nessun partito politico (salvo alcuni liberali ‘storici’) ha mai chiesto di sopprimere o di svuotare togliendogli il valore legale.

Va osservato che in effetti, al di là della consapevolezza di chi ha riproposto le commissioni tutte interne, l’esito più naturale e coerente di questa operazione sarebbe stato, almeno in prospettiva, l’abolizione del valore legate del titolo: se sono gli stessi docenti che hanno seguito i candidati, magari per anni, prima ad ammetterli all’esame e poi a ri-valutarli nella veste di commissari, è evidente che l’esame avrebbe un valore tautologico e spetterebbe ad altri, esterni a questo processo (università, datori di lavoro, uffici di collocamento e agenzie del lavoro), valutare l’effettiva preparazione dei diplomati, e non il mero possesso del titolo. 

3. Maturità 2015: dal voto alla certificazione

Se si vuole mantenere non tanto e non solo il valore legale dei diplomi quanto il loro valore sostanziale, la loro utilità personale e sociale, è importante riflettere sui modi più efficaci per ottenere questo risultato.

Si tratta, in primo luogo, di assicurare che, a parità di prestazioni del candidato nelle prove sostenute, il voto dato a Trento sia uguale a quello dato a Crotone: risultato che si può più facilmente raggiungere per le prove scritte aumentandone il numero e il peso nel calcolo del voto finale e definendo centralmente rigorosi e obbliganti criteri di valutazione degli elaborati: l’ideale sarebbe di far eseguire le prove al computer con un programma che fornisca immediatamente l’esito della prestazione. La ‘terza prova’ dovrebbe essere ovviamente predisposta a livello nazionale (una per ciascun percorso di scuola secondaria superiore).

Per la prova scritta di italiano, la più difficile da valutare tramite software valutativi automatici (ma negli USA ci sono già interessanti esperimenti di questo tipo per la correzione degli essays), dovrebbero essere rese ancora più dettagliate e stringenti le griglie di valutazione che sono state proposte negli scorsi anni. La prova orale, con un punteggio ridotto, dovrebbe essenzialmente concentrarsi sulla discussione delle prove scritte, in base a criteri valutativi definiti centralmente.

Ma se si volesse pensare un po’ più in grande, come l’attuale governo invita a fare, si dovrebbe mettere in campo un’operazione più complessa. Tuttoscuola già in precedenti occasioni ha lanciato l’ipotesi di collegare più strettamente l’esame finale della scuola secondaria alle scelte successive attraverso una diversa organizzazione del quinto anno, che potrebbe fungere da ‘anno ponte’ verso la formazione superiore, universitaria e non.

Agli studenti dovrebbe essere consentito di sostenere l’esame su due-tre materie a loro scelta (per le altre basterebbe lo scrutinio finale), e da tale scelta dovrebbe dipendere la possibilità di iscriversi a determinati corsi di laurea o percorsi post-secondari.

In questa prospettiva, che favorirebbe l’orientamento diminuendo l’attuale elevata percentuale di fallimenti e abbandoni degli studi superiori, si potrebbe anche considerare il riconoscimento di crediti (CFU) nelle discipline scelte dagli studenti per l’esame, soprattutto se esso fosse sostenuto con i criteri di maggiore affidabilità sopra accennati. Si creerebbero così anche le condizioni per recuperare un anno nel percorso di istruzione, perché l’ultimo anno delle superiori e il primo dell’università si fonderebbero in un unico anno ponte.

Ci auguriamo che su queste tematiche possa svilupparsi un confronto che, a partire da un nuovo esame di maturità, ridisegni il rapporto tra la scuola secondaria (ormai sempre più scuola di base) e le scelte successive dei nostri giovani.