Giannini: riconoscimento del merito

Il neo ministro dell’istruzione, durante la campagna elettorale per le politiche dell’anno scorso, aveva rilasciato queste dichiarazioni sul merito:

“Merito, prima parola d’ordine, significa prima di tutto valorizzare il talento e l’impegno di chi impara e di chi insegna con sistemi di valutazione semplici e trasparenti, per l’accesso, il reclutamento e la progressione in carriera. Nella scuola, come nell’università e nella società.

La cultura del merito è nemica della retorica del merito, quella che confonde il diritto allo studio (sacrosanto, inviolabile e sancito dalla Costituzione) con il diritto alla laurea, sogno antico di mamme moderne, e che rischia di far confondere a quelle mamme e a tutta quanta la società italiana il pezzo di carta con le competenze che esso dovrebbe garantire.

La nostra Costituzione parla chiaro: ai ‘capaci e meritevoli’ un Paese avanzato e genuinamente orientato al futuro deve garantire di raggiungere i più alti gradi dell’istruzione (Art. 34), ma anche di poter sviluppare al meglio il proprio talento dopo gli studi.

Ai meno capaci e meritevoli (e se ne trovano), lo stesso Stato onesto deve indicare con provvedimenti adeguati che quella dello studente è una condizione e non una professione (poter ripetere gli esami all’infinito giova a qualcuno?).

Siamo onesti: dare l’università a tutti indipendentemente dal merito, ma dargliela svalutata è come inflazionare la moneta per far tutti milionari. Cioè una truffa.

Smontare il mito dell’università dell’obbligo è un atto politico coraggioso. Creare al tempo stesso una cultura dell’apprendistato e della formazione professionale qualificata è un atto politico necessario e significa ridare dignità al lavoro e riaffermare la cultura del lavoro.

Ma ciò potrà avvenire solo ad alcune condizioni.

Primo: una buona università che generi e trasmetta conoscenza e competenze multidisciplinari senza condizionamenti dall’esterno (la vera autonomia), ma che sappia anche trasferire contenuti e metodi verso il mondo dell’impresa, delle professioni e delle istituzioni (la vera professionalizzazione).

Secondo: un sistema di orientamento che apra precocemente ai ragazzi altri orizzonti e altre opportunità concrete di formazione qualificata e che finalmente colleghi scuola e istruzione post-secondaria in un progetto unico e articolato.

La sfida moderna dell’istruzione e della formazione professionale è necessariamente polifonica.

Un esempio emblematico e decisivo per il futuro dell’Italia in Europa. La scuola.

Nelle nostre scuole primarie e secondarie, la percentuale di bambini stranieri sfiora il 10%. Ci chiedono soprattutto istruzione oggi, in lingua e cultura italiana, perché sia lavoro (lavoro qualificato) domani e perché possano loro stessi diventare parte integrante della società italiana. Cittadini italiani, nella forma e nella sostanza.

A questo tipo di mobilità, che non si arresta per decreto, dobbiamo rispondere col dovere educativo di una scuola aggiornata e preparata ad un nuovo esercizio. Prima di aumentare le ore di lezione, si dia l’opportunità concreta ai nostri insegnanti di crescere professionalmente in questo nuovo esercizio e di andare in classe con competenze adeguate. Non credo manchi la loro disponibilità, finora sono mancate le occasioni.”