Se ‘somaro’ è un’ingiuria…

Nei giorni scorsi si è appreso (ne ha parlato anche tuttoscuola.com) che un docente della scuola media di un piccolo centro in provincia di Catania è stato accusato di abuso di potere per aver rivolto a un suo alunno l’epiteto di somaro.

La Procura, presso la quale i genitori dell’alunno avevano sporto denuncia, dopo un alterco con l’insegnante, aveva chiesto l’archiviazione del caso, ma un altro magistrato, il Gup (Giudice dell’udienza preliminare) del Tribunale di Catania si era opposto disponendo l’imputazione a carico del docente.

Così una vicenda apparentemente banale, a proposito della quale i saggi giureconsulti romani avrebbero detto che “de minimis non curat praetor”, è diventata un caso giudiziario di qualche rilievo anche per chi si occupa non di diritto (addirittura penale) ma di educazione.

Non sono poi così lontani i tempi in cui, nella stessa situazione, i genitori avrebbero redarguito il figlio, anziché denunciare il professore.

Vedremo come si svilupperà la vicenda (il colloquio tra il docente e i genitori dell’alunno era degenerato in uno scambio di insulti), ma l’aspetto più interessante, e preoccupante, di questo caso non sono le ingiurie tra adulti ma l’accusa rivolta al docente di aver abusato del suo potere.

Rientra, o meglio rientra ancora, tra i ‘poteri’ (compiti, funzioni) dell’insegnante quello di rivolgersi agli alunni con quel tono burbero, tra brusco e paterno, ben noto alle precedenti generazioni di studenti? Oppure la caduta del prestigio sociale e dell’auctoritas del docente oggi in Italia (così non è in altri Paesi) è tale da condizionarne e censurarne perfino il linguaggio?

Domande importanti, che vanno al di là del caso in questione, e che meritano un’approfondita riflessione.