Voto in condotta: ‘Se si vuole ridare autorevolezza ai docenti, occorre che sappiano comprendere per farsi comprendere’. La riflessione di un prof

Riceviamo e pubblichiamo la riflessione che un formatore e professore di matematica e fisica, Gianmarco Proietti ha fatto in merito alla legge sul voto in condotta.

 

“Revisione della disciplina in materia di valutazione delle studentesse e degli studenti, di tutela dell’autorevolezza del personale scolastico nonché di indirizzi scolastici differenziati”. E’ questo il titolo della legge 150 del 1 ottobre 2024, approvata in Parlamento ed entrata in vigore[1] lo scorso 31 ottobre. Scopo: restituire autorevolezza ai docenti, o almeno questo si evince dal titolo della legge che e cerca di farlo dando un peso decisamente maggiore rispetto al precedente ordinamento, alla valutazione del comportamento degli studenti e delle studentesse.

In particolare, già dal prossimo giugno, indipendentemente dagli indicatori che i collegi docenti di ogni istituto redigono e approvano, uno studente il cui comportamento fosse valutato con un “6” su “10”, non potrà essere ammesso alla classe successiva (pur avendo almeno la sufficienza in tutte le discipline) finché non produrrà un elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale (Art. 1, comma 5 numero 4). Il consiglio quindi dovrà sospendere il giudizio in attesa di leggere l’elaborato critico redatto dallo studente nel corso dell’estate.

In più, la legge cambia in modo sostanziale l’attribuzione del punteggio del credito scolastico necessario a comporre il voto dell’Esame di Stato conclusivo del secondo ciclo: chiunque avesse tenuto durante l’anno un comportamento valutato con un punteggio minore o uguale a 8, avrà il credito corrispondente al minimo della fascia[2]. Un esempio per chiarire: a giugno scorso, uno studente di quinto anno con la media finale delle valutazioni delle materie, compreso il comportamento, pari a 8.9, potendo ricevere un credito scolastico tra 13 e 14, ed essendo la media più vicina al 9 che all’8, riceveva 14 punti di credito, oggi potrà avere 14 solo se in comportamento riceverà una valutazione pari a 9 o 10, altrimenti dovrà avere solo 13 punti di credito.

Questo cambiamento è stato operato con un obiettivo, espresso in modo chiaro anche nel testo della legge (art 1 comma 4):

“Al fine di ripristinare la cultura del rispetto, di affermare l’autorevolezza dei docenti delle istituzioni scolastiche secondarie di primo e secondo grado del sistema nazionale di istruzione e formazione, di rimettere al centro il principio della responsabilità e di restituire piena serenità al contesto lavorativo degli insegnanti e del personale scolastico, nonché al percorso formativo delle studentesse e degli studenti[3]

Il legame tra la tutela dell’autorevolezza del docente e l’affidare al voto del comportamento un peso sostanzialmente maggiore di quello di ogni altra disciplina (basti pensare che un sei in comportamento implica la sospensione del giudizio e un esame a settembre a differenza di un sei in matematica che spesso è accolto come un successo), sembra essere quello esclusivo della minaccia della non ammissione all’anno successivo. Sottointeso in ogni riga della legge sembra infatti esserci l’assioma che gli studenti e le studentesse si comportino a scuola in modo disordinato e illegittimo e possano smettere solo se minacciati di dover ripetere l’anno o di essere “rimandati”.

Più che sostenere l’autorevolezza del docente, dunque, la legge sembra affidare alla scuola uno strumento per esercitare autorità senza affidare allo studente e alla studentessa la libertà di riconoscerla.

Perché la differenza sostanziale tra chi esercita l’autorità (che l’istituzione scuola deve indubbiamente avere) ed è autorevole e chi invece è autoritario sta proprio qui: l’autorità è tale quando viene riconosciuta e seguita liberamente dagli studenti e dalle studentesse.

Dunque l’autorevolezza è la capacità di proporre e rappresentare l’autorità di suscitare una libera e consapevole adesione a questa. Il contrario è l’autoritarismo. L’insegnante che entra in classe, forte anche della nuova legge e decide a priori che gli studenti e le studentesse debbano essere attenti e attentedebbano eseguiredebbano comportarsi in modi prestabiliti, per il semplice dato dei ruoli (insegnante/docente), è la premessa di ogni autoritarismo.

Se davvero si vuole dare autorevolezza agli insegnanti, occorre che essi entrino in classe con una preparazione pedagogica e didattica, oltre che disciplinare, con la quale sappiano ascoltare per farsi ascoltare, che sappiano comprendere per farsi comprendere. Occorrerebbe rileggere a proposito proprio Giovanni Bosco quando, nel 1884, in una straordinaria lettera scritta mentre era Roma, quasi rimproverava i suoi primi salesiani sostenendo che non esiste un solo modello educativo e conseguentemente scolastico e dunque è davvero inutile e pretestuoso autoassolversi sostenendo che ogni azione sia fatta perché si amano i giovani. Il santo di Torino, scrive senza fraintendimenti: “Non basta. Non basta amare i giovani. Occorre che loro se ne accorgano. E per questo occorre studio”. Nella circolare “sui castighi da infliggersi nelle case salesiane” [1883] che gli stessi primi salesiani tennero nascosta perché rivoluzionaria [pubblicata solo nel 1935], rigetta una concezione della valutazione come punitiva, competitiva e escludente quasi ipotizzando, nel sistema educativo preventivo, la rinuncia ad ogni punizione, riducendola allo “sguardo malcontento, severo e tristo” del maestro.

Non si tratta di affascinanti propositi, ma di riformulare evidentemente i criteri di assunzione del corpo docente perché abbiano le competenze per poter insegnare e educare.

La legge 150 si presenta come una modifica sostanziale al decreto legislativo del 13 aprile 2017, n. 62, che organizzava le Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, senza alterare l’art. 1 del decreto stesso. Ma è proprio l’art. 1 del decreto citato che recita, al comma 3 “La valutazione del comportamento si riferisce allo sviluppo delle competenze di cittadinanza. Lo Statuto delle studentesse e degli studenti, il Patto educativo di corresponsabilità e i regolamenti approvati dalle istituzioni scolastiche ne costituiscono i riferimenti essenziali.[4]” e lo statuto degli studenti e delle studentesse, nell’art. 1 comma 3 recita:

“La responsabilità disciplinare è personale. Nessuno può essere sottoposto a sanzioni disciplinari senza essere stato prima invitato ad esporre le proprie ragioni. Nessuna infrazione disciplinare connessa al comportamento può influire sulla valutazione del profitto.[5]

Nella nuova disposizione, invece, è decisamente evidente che la valutazione disciplinare influisca pesantemente sulla valutazione del profitto, tanto da, nei casi valutati con l’insufficienza o anche con la sufficienza, imporre la ripetizione dell’anno e dunque dello studio di tutte le discipline. Occorre, di nuovo e con ragionevolezza, riflettere sul senso del voto nella scuola.

Il sondaggio Scuola e Benessere: Oltre l’ipercompetizione e l’omologazione realizzato da Unisona Live e l’Unicef, patrocinato dal Comune di Milano e dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, dedicato alle scuole secondarie di secondo grado e dell’ultimo anno delle secondarie di primo grado, al quale hanno partecipato 25.000 studenti e studentesse, ha rivelato che il 75% di coloro che frequentano le scuole italiane, ha “sempre” o “spesso” episodi di stress causati dalla scuola; e che il 44% di loro si sente inadeguato e insicuro a causa dell’ipercompetizione che rende più difficile imparare al 17% dei partecipanti[6].

Il problema della competizione è insito nel sistema di valutazione che la scuola ha deciso di adottare. L’obiettivo fondamentale della valutazione scolastica è valutare l’apprendimento dello studente e delle studentesse.

I voti finali risultano essere la media aritmetica dei voti intermedi. Ma la valutazione dell’apprendimento dovrebbe essere un indicatore qualitativo non quantitativo e non occorre essere uno statistico per capire che la media aritmetica è il valore meno rappresentativo di una distribuzione qualitativa. Per capire: se osservassimo quattro fogli colorati giallo, rosso, verde e blu, potremmo mai fare la “media aritmetica” dei colori che si è osservato?

Oggi, questa legge, addirittura, impone una valutazione numerica di un comportamento e la paragona alla valutazione numerica di un compito in classe. Una legge che impone che comportamenti sanzionabili vengano “compensati” con un componimento scritto e realizzato d’estate.

Credo allora che (il titolo della legge è “Revisione della disciplina in materia di valutazione delle studentesse e degli studenti”, non del loro comportamento) si stia sovrapponendo la valutazione della persona alla valutazione degli apprendimenti ignorando che un singolo voto può rappresentare un significato molto importante per il senso di sé di una persona, specialmente di un essere umano in costruzione.

 

[1] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2024/10/16/24G00168/sg
[2] https://www.mim.gov.it/credito-scolastico-e-credito-formativo
[3] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2007/12/18/007G0251/sg
[4] DECRETO LEGISLATIVO 13 aprile 2017, n. 62 https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/05/16/17G00070/sq
[5] DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 21 novembre 2007, n. 235 https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2007/12/18/007G0251/sg
[6]  Scuola e Benessere Oltre l’ipercompetizione e l’omologazione – Scheda didattica a cura di: M. Grechi e E. Guerrera., a cura di UNICEF – Unisona Live Cinema – Fondazione Conad per la scuola.

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