Verso un sistema unico di valutazione, una proposta per l’uniformità nella scuola italiana

Valutare, per svalutare, o per premiare? Il voto nel nostro sistema educativo e formativo costituisce da sempre il fulcro delle azioni degli insegnanti e degli educatori. Il suo valore va ben oltre la semplice verifica e misurazione degli apprendimenti: il voto porta con sé numerosi significati talmente radicati negli archetipi comuni, da rendere complessa ogni attuazione di riforma.

Un tempo la valutazione si esprimeva con un giudizio, scritto appositamente per comunicare alla famiglia i risultati raggiunti, ma anche le criticità riscontrate, e allo stesso tempo per rinforzare, se necessario, la motivazione e l’autostima dell’alunno. In alcuni casi, il giudizio era un invito a non mollare, a prestare maggiore attenzione e a impegnarsi per raggiungere gli obiettivi sperati. Questo approccio personalizzato instaurava una relazione diretta e umana tra insegnanti, studenti e famiglie.

Oggi, in Italia, questo valore simbolico è stato trasferito ai numeri. Ogni voto numerico racchiude un significato psicologico profondo, radicato nella nostra società, che ha imparato a codificare con esso anche le emozioni più profonde. Il voto, quindi, si presenta come un simbolo universalmente riconosciuto, capace di catalizzare in un numero il valore di uno studente. Tuttavia, il sistema numerico, pur essendo standardizzato e comprensibile, rischia di risultare riduttivo, poiché non riesce a cogliere appieno la complessità del processo di apprendimento e le sfumature individuali.

In questo scenario, la valutazione rappresenta un pilastro fondamentale del sistema educativo, capace di influenzare significativamente il percorso di apprendimento degli studenti e le pratiche didattiche dei docenti. Tuttavia, il dibattito sulla frammentazione dei criteri di valutazione tra i diversi ordini di scuola è diventato sempre più acceso, soprattutto alla luce della recente Legge 150/2024, che ha introdotto importanti novità nella valutazione della scuola primaria. Questa legge, pur animata da intenti innovativi, ha evidenziato ulteriormente la necessità di un sistema unificato di valutazione che superi le disomogeneità tra i vari ordini e gradi di istruzione.

La situazione attuale, una frammentazione problematica

Attualmente, la valutazione scolastica in Italia si presenta come un mosaico frammentato, con differenze sostanziali tra scuola primaria, secondaria di primo grado e secondaria di secondo grado. Ad esempio, mentre nella scuola primaria si privilegia un approccio descrittivo e formativo, nelle scuole secondarie si utilizzano prevalentemente voti numerici, con un focus maggiore sulla misurazione del rendimento. Questa eterogeneità genera confusione non solo tra gli studenti, ma anche tra le famiglie e gli stessi docenti, rendendo difficile una comprensione univoca dei progressi compiuti e degli obiettivi da raggiungere.

Le rilevazioni nazionali INVALSI e la certificazione delle competenze alla fine della scuola primaria, del primo ciclo e del biennio della scuola secondaria di secondo grado rappresentano ulteriori elementi di disomogeneità. Questi strumenti, seppur fondamentali per monitorare il sistema educativo a livello nazionale, sono spesso percepiti come scollegati dai criteri valutativi utilizzati nelle scuole, generando ulteriore confusione tra studenti e famiglie.

Inoltre, l’attuale utilizzo della media aritmetica per calcolare le valutazioni finali è oggetto di numerose critiche. Questo metodo, seppur semplice, non tiene conto della complessità del processo di apprendimento e delle molteplici dimensioni che lo caratterizzano. Gli studenti possono, infatti, migliorare sensibilmente durante l’anno, ma la media aritmetica non valorizza adeguatamente tali progressi. Inoltre, non differenzia tra le difficoltà delle varie materie, rischiando di appiattire il giudizio complessivo su uno studente.

Il valore intrinseco del voto numerico, esempi e implicazioni

Ad esempio, un voto come il 5, talmente ricco di significati spesso associati a una performance insufficiente, diventa oggetto di interpretazioni soggettive che possono variare notevolmente tra docenti e istituti, come evidenziato in un articolo de “Il Secolo XIX”.

Il cinque assume il ruolo di un messaggio chiaro: sei vicino all’obiettivo, ma ancora non l’hai raggiunto. Questo voto suggerisce di continuare a impegnarsi, con la promessa implicita di un miglioramento futuro. Tuttavia, se lo sforzo non è sufficiente, il rischio è che il cinque si trasformi in un quattro, con le relative conseguenze, come la non promozione o una valutazione finale negativa. Il “quattro”, infatti, rappresenta un segnale di allarme: un voto che comunica inequivocabilmente il mancato raggiungimento degli obiettivi minimi e richiede interventi immediati e strutturati. Questo giudizio è spesso percepito dagli studenti come una condanna, più che come un incentivo al miglioramento, e può contribuire alla perdita di motivazione.

Alla fine del primo trimestre o quadrimestre, l’uso del cinque diventa una prassi consolidata, indipendentemente dalle prove di verifica o dalla reale valutazione delle competenze. Questo voto è spesso usato come un mezzo per spronare gli studenti a fare di più, generando uno stress finalizzato al miglioramento. Tuttavia, se in passato questo rinforzo negativo poteva funzionare come incentivo, oggi spesso si rivela controproducente. Per alcuni studenti, il cinque diventa un simbolo di inadeguatezza, una prova del loro fallimento, alimentando demotivazione e un allontanamento dal piacere dello studio.

Anche altri voti numerici possono avere significati complessi. Il “sei”, ad esempio, rappresenta la sufficienza, ma spesso è percepito come un risultato mediocre, un traguardo raggiunto con il minimo sforzo. Al contrario, il “sette” è visto come un riconoscimento di un impegno superiore alla media, mentre l’”otto” è considerato una prova di eccellenza raggiungibile solo da chi dimostra costanza e dedizione.

Il “nove” e il “dieci” si collocano all’estremità superiore della scala valutativa, rappresentando il massimo riconoscimento del merito. Il “nove” indica una prestazione eccellente ma non perfetta, mentre il “dieci” è riservato a risultati straordinari, simbolo di un impegno impeccabile e di una padronanza assoluta delle competenze. Tuttavia, questi voti, benché gratificanti, possono generare pressione sugli studenti, portandoli a temere di non essere in grado di mantenere lo stesso livello di performance in futuro.

Questi archetipi, profondamente radicati nella nostra cultura educativa, creano un linguaggio non verbale che tutti gli attori del sistema scolastico riconoscono. Tuttavia, tali significati impliciti possono generare fraintendimenti, pressioni eccessive e, in alcuni casi, contribuiscono all’abbandono scolastico. L’attuale sistema di voti numerici è quindi oggetto di dibattito, poiché non sempre rispecchia il valore reale delle competenze acquisite, ma si concentra su un’idea di performance che potrebbe non essere inclusiva o motivante per tutti gli studenti.

Dal giudizio personalizzato ai numeri, per tornare al giudizio sintetico

La valutazione nel sistema educativo italiano ha subito numerose trasformazioni nel corso degli anni, riflettendo cambiamenti pedagogici e sociali. Tradizionalmente, la valutazione nella scuola primaria si esprimeva attraverso giudizi descrittivi, fornendo un quadro dettagliato dei progressi e delle aree di miglioramento degli studenti. Questo approccio permetteva una comunicazione più personalizzata con le famiglie, evidenziando sia i successi sia le criticità, e offrendo spunti per rafforzare la motivazione e l’autostima degli alunni.

Con il tempo, si è assistito a un progressivo uso della scala numerica nella valutazione, soprattutto nella scuola secondaria, dove i voti numerici hanno assunto un ruolo predominante. Ogni voto numerico come abbiamo visto porta con sé significati psicologici profondi, radicati negli archetipi culturali della nostra società, sintetizzando in un singolo numero il valore percepito di uno studente. Questo sistema, sebbene standardizzato, può risultare riduttivo, poiché non sempre riesce a cogliere la complessità del processo di apprendimento e le sfumature individuali.

La recente Legge 1° ottobre 2024, n. 150, ha introdotto significative modifiche nel sistema di valutazione della scuola primaria, reintroducendo i giudizi sintetici al posto dei voti numerici. A partire dall’anno scolastico 2024/2025, la valutazione periodica e finale degli apprendimenti, inclusa l’educazione civica, sarà espressa con giudizi sintetici correlati alla descrizione dei livelli di apprendimento raggiunti. Questa scelta mira a fornire una valutazione più qualitativa e meno focalizzata sulla mera quantificazione delle performance.

Tuttavia, permangono disomogeneità tra i diversi ordini di scuola. Nella scuola secondaria di primo grado, ad esempio, la valutazione del comportamento è espressa in decimi, e un voto inferiore a sei decimi comporta la non ammissione alla classe successiva o all’esame di Stato. Queste differenze nei criteri di valutazione possono generare confusione tra studenti e famiglie, rendendo complessa la comprensione dei progressi e degli obiettivi da raggiungere.

Inoltre, l’utilizzo della media aritmetica per il calcolo delle valutazioni finali è oggetto di dibattito. Questo metodo, sebbene semplice, non tiene conto della complessità del processo di apprendimento e delle diverse dimensioni che lo caratterizzano. Come evidenziato da alcune analisi, la valutazione non dovrebbe basarsi esclusivamente sulla media aritmetica dei voti, ma considerare anche i progressi e le competenze acquisite dagli studenti.

La lezione del mondo anglosassone e delle certificazioni internazionali

Nei paesi anglosassoni, il sistema di valutazione è caratterizzato da un approccio più flessibile e orientato alla descrizione delle competenze. Strumenti come rubriche e criteri qualitativi ben definiti sono alla base del processo valutativo, offrendo trasparenza e coerenza. Le certificazioni linguistiche internazionali, come IELTS, TOEFL e il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue (QCER), rappresentano un esempio di valutazione standardizzata che combina livelli chiari e descrittivi con una codificazione universale.

Questo modello offre uno spunto prezioso: un sistema di valutazione basato su livelli chiari e condivisi a livello internazionale garantirebbe una maggiore coerenza e comprensibilità, riducendo al contempo i rischi di frammentazione e soggettività. Cambiare quanto prima il nostro attuale sistema di valutazione che è causa di demotivazione, abbandoni scolastici e dispersione implicita, rappresenterebbe un passo cruciale per rendere il sistema educativo italiano più equo e inclusivo.

Conclusioni

L’introduzione di un sistema unico di valutazione rappresenterebbe un passo fondamentale per modernizzare e rendere più equo il sistema educativo italiano. Uniformare i criteri di valutazione tra i diversi ordini di scuola non significherebbe rinunciare alla specificità di ciascun grado di istruzione, ma piuttosto valorizzare la continuità educativa e promuovere una cultura della valutazione coerente e condivisa.

In un momento storico caratterizzato da profondi cambiamenti sociali e culturali, è essenziale che la scuola italiana risponda con soluzioni innovative e coraggiose. Un sistema unico di valutazione, ispirato alle migliori pratiche internazionali, potrebbe rappresentare la chiave per costruire un’istruzione più inclusiva e orientata al futuro, capace di preparare le nuove generazioni alle sfide di un mondo sempre più complesso e interconnesso.

© RIPRODUZIONE RISERVATA