Valutazione/1. L’OCSE versa sale sulle ferite (antiche) della scuola italiana

Nei giorni scorsi sono stati resi noti i dati comparativi contenuti nell’edizione 2005 di “Education at a glance“, raccolti dall’OCSE tra i 32 Paesi aderenti, con riferimento prevalente all’anno 2003. I dati forniti sono, come al solito, molto negativi per l’Italia. Sono tanti anni, praticamente da quando si è sviluppata la ricerca internazionale comparata, a partire dai primi anni settanta dello scorso secolo, che l’Italia inghiotte bocconi amari.
Cominciò la IEA (International Association for the Evaluation of Educational Achievement), un circuito di enti e istituzioni non governative, al quale partecipavano per l’Italia l’università di Roma e il Centro Europeo dell’Educazione (CEDE, ora INVALSI), che mise in luce la debolezza della scuola italiana nelle competenze di base (lingua materna, matematica), soprattutto nella fascia secondaria superiore.
Successivamente, dalla metà degli anni ottanta, con l’avvio del progetto OCSE sugli indicatori internazionali, le attività comparative hanno investito più direttamente la responsabilità dei governi (l’OCSE è un’agenzia intergovernativa), ma per l’Italia la musica non è cambiata. Il CEDE ha continuato ad essere il terminale italiano di queste ricerche, che ha potuto svolgere in modo autonomo sul piano tecnico-scientifico, ma con gli scarsissimi mezzi assegnatigli da governi e ministri assai poco interessati alla tematica della ricerca valutativa, e senza alcuna interazione preventiva con la scuola. Quanto ai dati di sistema, è da poco tempo che il MIUR sta cercando di acquisirli avvalendosi di aggiornate metodologie e competenze di tipo informatico e statistico.