USA: torna il ‘merit pay’?

Alcuni distretti americani, come quelli di Huston (Texas) e di Denver (Colorado), tornano alla carica con la proposta di legare una parte dello stipendio degli insegnanti ai risultati conseguiti dagli allievi negli esami e nei vari tipi di test ai quali gli studenti americani sono da sempre sottoposti.
Gli incentivi per gli insegnanti degli allievi che ottengono i migliori risultati sono consistenti: fino a 10.000 dollari all’anno, corrispondenti a più del 20% di uno stipendio medio: una somma non molto diversa da quella che anche in Italia si era ritenuto di assegnare agli insegnanti “più bravi” al tempo del “concorsone” di berlingueriana memoria. Con la sostanziale differenza costituita dal fatto che nei modelli americani di “merit pay” la classifica dei migliori viene costruita in genere sulla base delle performance degli studenti, mentre in Italia, dai “concorsi per merito distinto” di un tempo all’abortito “concorsone” di Berlinguer, si è finora sempre puntato sui titoli, sul curriculum e sulla qualificazione degli insegnanti.
Comunque non è la prima volta che la carta del “merit pay” viene adottata negli USA, ma quasi tutte le esperienze di questo tipo tentate finora sono state di breve durata, e sono fallite a causa delle forti resistenze opposte dai sindacati dei docenti a questi tipo di incentivi, che a loro avviso fanno crescere l’individualismo e la competitività tra gli insegnanti e favoriscono quelli che insegnano nelle scuole situate nei quartieri abitati da famiglie benestanti e acculturate. A quest’ultima obiezione i sostenitori del “merit pay” cercano di rispondere attraverso complesse operazioni di calcolo dell’incidenza dei fattori ambientati, socioculturali e familiari sui risultati ottenuti dagli allievi, operazioni fatte in modo tale da premiare non le performance migliori in senso assoluto, ma quelle che segnalano i progressi più rilevanti rispetto ai punti di partenza.