USA: fa discutere la ‘Race to the top’ di Obama

Il programma Race to the top – espressione traducibile con ‘gara, o corsa, per il successo’ – è la riforma della scuola, o per meglio dire dell’intervento federale statunitense in materia di politica scolastica (la cui gestione operativa resta sempre e comunque, come da tradizione, nella competenza dei singoli Stati), voluta da Obama in sostituzione del precedente programma No Child Left Behind (NCLB), introdotto da George W. Bush nel 2001.

In sostituzione ma anche in parziale continuità, va detto, perché entrambe le leggi hanno ricevuto un consenso bipartisan, entrambe si propongono di migliorare la qualità e l’equità della scuola americana ed entrambe sono basate su un sistema di incentivi rivolti agli Stati a condizione che essi raggiungano determinati risultati. La differenza, sostanziale però, è che nel modello di Bush la verifica del raggiungimento di tali risultati era affidata a scelte discrezionali dei singoli Stati, mentre in quello di Obama gli Stati che vogliono ricevere i contributi sono invitati a utilizzare gli standard federali per la valutazione dei risultati conseguiti dai vari soggetti (dagli alunni per inglese e matematica, dagli insegnanti per quanto riguarda la loro preparazione, dai dirigenti delle scuole ecc.).

Con il nuovo anno scolastico quasi tutti gli Stati (fanno eccezione il Texas, l’Alaska e pochi altri) parteciperanno alla gara (race) per assicurarsi gli incentivi, che ammontano ad oltre 4 miliardi e mezzo di dollari. Per ottenerli dovranno utilizzare gli standard federali e dimostrare di aver realizzato miglioramenti nei livelli di apprendimento degli studenti in inglese e matematica, di aver ridotto i fallimenti scolastici, di aver migliorato la formazione iniziale e continua dei docenti, e anche di aver aumentato il numero delle ‘charter school’, le scuole private gestite da enti e associazioni che si impegnano a rispettare determinati criteri di qualità e di sostegno delle fasce deboli della popolazione studentesca.

Il punto sul quale ferve il dibattito, che investe trasversalmente gli schieramenti politici, è quello che riguarda la centralizzazione degli standard. Le critiche vengono non sono solo dai repubblicani più conservatori, diffidenti verso ogni forma di ampliamento delle competenze federali rispetto a quelle degli Stati, ma anche dagli ambienti liberal dello schieramento democratico che paventano la crescita dei poteri buro-tecnocratici e la compressione della libertà di insegnamento indotta dalla necessità di adeguarsi a standard definiti dall’alto e dalla lontana Washington.