Università: chi ‘chiamerà’ chi?

Uno dei punti centrali della riforma Gelmini dell’università riguarda la ‘chiamata’ (assunzione) dei docenti di prima e di seconda fascia da parte dei singoli atenei, che sono tenuti a sceglierli all’interno di elenchi pubblici di ‘abilitati’, cioè di persone ritenute idonee all’insegnamento universitario da parte di apposite commissioni nazionali di valutazione.

Con quale criterio? Nelle intenzioni del ministro Gelmini, ferma restando la libertà per le università di chiamare qualsiasi nominativo compreso nell’elenco degli abilitati, si sarebbe dovuto incentivare la scelta dei migliori attraverso l’assegnazione alle singole sedi di fondi proporzionati alla qualità della produzione scientifica della facoltà/dipartimento o dei singoli ricercatori: in questo modo si sarebbe favorita una competizione tra gli atenei per aggiudicarsi i docenti più qualificati, e si sarebbe posto un forte limite alla scelta di docenti poco competenti, ma ‘protetti’ dalle varie baronie accademiche.

Ora sembra che questo meccanismo, ispirato a principi meritocratici, finirà per essere inceppato a causa di manovre volte in sostanza a mantenere il sistema di potere attualmente vigente. In che modo? L’espediente per aggirare lo spirito della norma sarebbe quello di stabilire una soglia molto bassa per il conferimento della abilitazione, in modo da consentire la chiamata anche di docenti di scarso valore scientifico ma collegati a personalità accademicamente forti.

Scelti (e non è detto) alcuni tra i ‘migliori’ per ottenere più fondi le università troverebbero negli ampi elenchi di abilitati che si preannunciano anche i nomi degli amici (e parenti?) di sempre. Che toglierebbero il posto a chi lo meriterebbe di più. Si può sperare che il ministro Profumo faccia qualcosa per evitare che ciò (ri)avvenga?

Nel frattempo il ministro stesso ha sottolineato alcuni punti di debolezza strutturale del nostro Paese evidenziati dal commissario europeo per la Ricerca Quinn: “la trasparenza nella pubblicizzazione dei bandi, la valorizzazione delle capacità delle persone, la semplificazione delle regole e il mantenimento e rispetto dei tempi”. La diagnosi è chiara. La cura?