Una generazione in pericolo tra smarrimento, paura e rabbia

La senatrice Vanna Iori (nel privato docente ordinaria di Pedagogia all’Università Cattolica di Milano) ha riferito del grido d’allarme dei neuropsichiatri infantili torinesi (ne ha parlato La Stampa), secondo cui nel reparto di neuropsichiatria infantile dell’ospedale Regina Margherita di Torino i ricoveri per tentato suicidio di ragazzi tra i 10 e i 17 anni sono passati da 7 nel 2009 a 35 nel 2020. Nello stesso periodo l’“ideazione suicidaria”, e cioè il pensare, considerare o pianificare il suicidio, è passata dal 10% all’80%.

La prof. Iori, su episodi inquietanti su ansie, depressione, confusione emotiva dei ragazzi, evidenzia come il comportamento suicidario o violento è influenzato da più fattori: dalla presenza di disturbi psicologici, dalla storia familiare, da elementi ambientali, dall’uso di droghe e oggi, purtroppo, da altri fattori di rischio derivanti dai tempi del Covid.

Secondo la Iori vi è mancanza di relazioni e di legami, oltre a un diffuso analfabetismo emotivo, frutto dell’interazione con l’ambiente familiare, scolastico e sociale, vacillante tra mille paure e insicurezze esistenziali. C’è anche una aspettativa da parte dei genitori e della società che sembra giudicare i ragazzi in base al successo, scolastico o sportivo; una pressione che conduce alla paura di non essere in grado di soddisfare le aspettative e a cercare altre forme di affermazione di sé.

Tutti questi elementi, oggi acuiti dall’emergenza Covid-19, hanno creato un ulteriore vuoto nelle relazioni; hanno determinato la mancanza degli abituali punti di riferimento, a partire dalla scuola; hanno ulteriormente indebolito il  sistema delle regole; hanno prodotto la chiusura dentro i mondi virtuali che tanto possono fare male se non mediati o utilizzati in modo consapevole.

Una situazione di disagio che va al di là della chiusura forzata e della mancanza della vita di classe e che si innesta in una fase della vita dove ancora non si ha un’emotività “strutturata”; per questo è assai complesso provare a dare risposte alle domande sulla vita, e diventa sempre più evidente l’incapacità di comprendere la portata delle proprie azioni e di proiettarsi verso il domani, consapevoli delle conseguenze dei propri gesti.

Da qui deriva la difficoltà nel costruire e dare senso al futuro o a riempire la normalità di significato che non deve coincidere con la competizione, il consumo, la frenesia della vita quotidiana, l’eccesso del fare, l’incapacità di riflettere e la consapevolezza che per ogni azione c’è una reazione.

Su questo – osserva la Iori – dobbiamo interrogarci, come educatori, come genitori, come insegnanti, come adulti per capire se il nuovo modello di vita imposto ai nostri ragazzi, nella maggior parte dei casi, ricco di opportunità, attività, incontri, nuove tecnologie, aspettative frenetiche, sia il migliore per garantire il loro benessere psicofisico e una crescita realmente equilibrata. Occorre capire quanto il virus abbia acuito il senso di precarietà su equilibri già fragili.