Un prof italiano per il Global Teacher Prize: Tuttoscuola intervista Carlo Mazzone

Si chiama Carlo Mazzone, è docente di ICT e Informatica dell’istituto tecnico ITI “G. B. B. Lucarelli” di Benevento ed è tra i 10 finalisti per il Global Teacher Prize. E’ la prima volta che un italiano entra nella rosa dei top10 del premio considerato il Nobel dell’insegnamento, scelto tra più di 12.000 candidature provenienti da oltre 140 Paesi del mondo e Tuttoscuola lo ha intervistato per raccontare come è nata la sua passione per l’insegnamento e condividere la sua vision di scuola. 

Prof. Mazzone, quando e come è nata la sua passione per l’insegnamento?
“Ho sempre “respirato” l’aria della didattica sin da bambino. Provengo, infatti, da una famiglia fortemente impegnata nella scuola: mio padre preside e suo fratello direttore didattico, mia madre insegnante elementare, mia sorella docente alla secondaria di secondo grado, più uno stuolo di altri docenti  tra i parenti più prossimi. Io, appassionato di informatica da sempre, avevo scelto una strada diversa. Innanzitutto ottenendo una laurea in Scienze dell’Informazione presso l’Università degli Studi di Salerno con la quale ho collaborato anche dopo la conclusione dei miei studi. Successivamente ho lavorato come specialista informatico in aziende di importanza nazionale. Tuttavia, già durante la mia collaborazione con l’università e nel periodo vissuto come consulente aziendale avevo più volte rivestito il ruolo di docente in corsi di formazione tecnica. Così la mia naturale propensione alla didattica unita alle mie competenze informatiche maturate nel corso di tanti anni di presenza e poi consulenza in azienda hanno contribuito a farmi sperimentare approcci alla didattica sempre attuali ed improntati al mondo reale”.

Cosa vuol dire per lei insegnare?
“Sin dai primi giorni di insegnamento ho scoperto la necessità di realizzare una didattica basata su quanto richiesto nel mondo reale. Ho iniziato così a scrivere appunti da dare ai miei alunni. Questi appunti sono diventati con gli anni dei libri pubblicati a livello nazionale. In particolare il libro “C e C++ Le chiavi della programmazione” è diventato un best seller nel campo dei libri tecnici e viene usato nella scuola superiore italiana e in alcune università. A scuola gestisco quindi le lezioni in modo da coinvolgere gli studenti in una serie di attività con alla base la sfida tra gruppi di alunni organizzati come delle mini imprese. Ho definito questa strategia didattica vivariumware. Il termine è l’unione delle parole vivarium, dall’inglese (di derivazione latina) con significato di “vivaio” e dalla parola ware. Si tratta, dunque, di materiale da vivaio, cioè progetti nati con lo scopo di insegnare un determinato contesto tecnologico che possono tuttavia essere i semi di futuri sviluppi. Dunque per me insegnare rappresenta  un’opportunità per spiegare l’imprenditoria e per dimostrare ai ragazzi che chiunque può fare impresa e, più in generale, essere imprenditore di sé stessi. Il mio approccio è così perfettamente in linea con quello di Junior Achievement, incontrata sette anni fa. L’esperienza con questa realtà ha rappresentato e continua ad essere uno straordinario strumento di crescita per i miei studenti. Ogni singola partecipazione ai programmi JA è stata un’esperienza ricchissima sia per i ragazzi che per me stesso. Anche quando non siamo riusciti ad ottenere il successo sperato, abbiamo sempre e comunque imparato tantissimo. Ciò è vero sia per quanto riguarda il lato delle competenze vere e proprie sia a livello umano e di competenze orizzontali, ovvero le cosiddette soft skills. I ragazzi hanno, ad esempio, imparato a gestire il proprio lavoro e a misurarsi con le scadenze temporali. Hanno superato le inevitabili debolezze ed hanno imparato a lavorare in gruppo. Hanno assaporato la bellezza della vittoria ed imparato a gestire gli insuccessi”.

Oggi la scuola è chiamata ad affrontare sfide davvero grandi: qual è quella che secondo lei non può proprio perdere?
“Nei momenti di difficoltà si trovano tante possibili strade per fare cose in modo diverso e innovativo. Dietro ogni difficoltà si può dunque scoprire una nuova opportunità. Ci troviamo ora a vivere in un mondo interconnesso in cui il lavoro è completamente dipendente dalla “rete” e dai sistemi informatici. In particolare con il lockdown, abbiamo scoperto come gli strumenti digitali siano ormai parte integrante del contesto lavorativo e più in generale della nostra stessa vita. Abbiamo inoltre superato un taboo storico relativo alla considerazione del lavoro come unicamente legato alle ore trascorse fisicamente in ufficio o in azienda. Abbiamo invece scoperto che la qualità e quantità di lavoro, per  tutta una serie di mansioni, possa essere realizzata anche in modalità “remota” attraverso gli strumenti messi a disposizione dal digitale. Quanto applicabile al mondo del lavoro è posi possibile riportarlo al contesto della didattica. Ed infatti, oggi più che mai, la didattica, e in particolare la mia, non può che incentrarsi su questo nuovo asset che rappresenta un elemento imprescindibile sia nel mio modo di insegnare, sia nell’approccio di JA Italia. La sfida da non perdere è quindi legata allo sfruttamento consapevole e sapiente di questi nuovi strumenti che il digitale ci mette a disposizione. Ciò vale sia per quanto riguarda l’acquisizione di nuove conoscenze e competenze sia in relazione alla necessità di realizzare le richieste nuove “autostrade dell’informazione” portando una connettività stabile e veloce ovunque risulti necessario.

Cosa si prova ad essere l’unico italiano nella top 10 dei finalisti per il Global Teacher Prize?
“Sono estremamente felice e onorato di rappresentare il mio Paese e allo stesso tempo sento un grande senso di responsabilità per il ruolo che mi trovo a rivestire grazie alla candidatura a tra i top 10 del Global Teacher Prize. Credo sia un’occasione irripetibile per puntare i riflettori sul ruolo svolto dagli insegnanti nella società e sulle esigenze della nostra scuola italiana. Nel mio ruolo di Ambasciatore del Global Teacher Prize condivido con assoluta convinzione il motto della Varkey Foundation: “Teachers matter”, traducibile come “I docenti valgono”. Il senso è quello di una visione che auspica un’istruzione di qualità per ogni bambino, migliorando lo status degli insegnanti e celebrandone la professione nel contesto sociale”.

Cosa vorrebbe fare con il fondo Global Teacher Prize?
“Mi piacerebbe innanzitutto concentrarmi sulle problematiche all’abbandono scolastico che in alcune zone del Sud rappresenta un fenomeno davvero drammatico considerando che per ogni ragazzo o ragazza che abbandona gli studi perdiamo un pezzo di futuro. In questa ottica, mi piacerebbe anche realizzare dei progetti mirati per aiutare gli studenti a diventare imprenditori di loro stessi sulla scia delle attività svolte con l’associazione Junior Achievement”.