Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

Tra sociale e vita reale: perché è importante che la scuola aiuti a coltivare le amicizie

Di Asteria Bramati

Nella nostra società, sempre più virtuale, la ricerca della felicità si crede di trovare nelle amicizie social, come se queste fossero più autentiche di quelle costruite di persona.

In una recente ricerca, Robin Dunbar, psicologo evoluzionista dell’università di Oxford[1], ha constato che, nonostante, l’esplosione dei social media, la rete dei contatti che ognuno di noi si costruisce è la stessa negli ultimi due decenni, cioè, al massimo di 150 individui. Questa soglia è, secondo le indicazioni che ci vengono dalla neurologia, imposta dalla dimensione e dalla chimica del cervello, ma, anche, dal tempo per costruire e mantenere un’amicizia significativa[2].

Durban ha dimostrato che le chance di costruire e mantenere nel tempo relazioni di amicizia sono legate alle dimensioni della corteccia prefontale. Secondo lo studioso, per mantenere attive nel tempo varie relazioni amicali abbiamo bisogno di una capacità precisa: saperci immedesimare nell’Altro. Nella sua ricerca, 40 volontari sono stati sottoposti a risonanza magnetica funzionale ed è stato chiesto loro di redigere una lista delle persone che conoscono nella vita privata. Successivamente, Durban ha somministrato alle”cavie” un test per misurare la loro capacità di immedesimazione empatica. È risultato che quanto il numero di amici di ogni persona, quanto la loro empatia, dipendono dalla dimensione della corteccia prefontale; una zona del cervello che controlla la razionalità e il nostro modo di rapportarci agli altri.

Oltre, alla capacità empatica, per poter coltivare una amicizia veramente significativa ci vuole del tempo. “I computer e le nuove tecnologie eliminano il dubbio[…]i dubbi derivano dalle esperienze passate, dal modo di vivere e dalle nostre amicizie; ma, il passato sta scomparendo. Un tempo conoscevamo il passato, ma, non il futuro. Oggi, ci serve una nuovo modo di concepire il tempo”.[3]

Oggi soprattutto i più giovani non sanno più coltivare li valore dell’amicizia, non dedicandogli il tempo opportuno.

Digitale e social network hanno radicalmente trasformato l’amicizia tra adolescenti, spingendoli a comportamenti narcisisti, poco sani. In uno studio pubblicato dal Journal of Social and Personal Relationships mette in evidenza l’uso distorto che fanno i ragazzi dei messaggi, che, spesso, vengono impiegati come”scorciatoia” per evitare il confronto diretto con amici e con conoscenti. A differenza di quel che avviene con un dialogo vis a vis che ci permette un confronto franco e diretto con un’altra persona, i messaggi consentono di scrivere messaggi all’infinito agli altri, di cui non rileggiamo neppure i contenuti e su cui non abbiamo riflettuto. Essi non ci permettono di “vivere” a pieno i sentimenti che connotato una amicizia. Questo modo di vivere il  rapporto con l’Altro non permette ai giovani di prepararsi alla vita adulta. Al contrario, avere un rete di amici, già da piccoli, aiuta ad affrontare i momenti stressanti della vita. Secondo una celebre ricerca condotta da William Bukowski, i livelli di cortisolo, l’ormone prodotto dall’organismo in situazione di stress, aumenta quando , da soli, si viene sgridati dall’insegnante e/o dai genitori[4].

Nell’immaginario collettivo ci dice, uno noto neuroscienziato, Merzenich: “Esiste l’idea che l’essere socievoli o introversi, avere tanti pochi o poco amici, siano caratteristiche che si ereditano, ma io credo, invece, che queste caratteristiche derivano da ciò che viene insegnato, fin da piccoli”.[5] Le ricerche di Mervenich fanno emergere che; se la biologia ha la sua parte, l’ambiente socio-culturale e le amicizie che coltiviamo durante la nostra vita, determinano la struttura cognitiva ed emozionale dell’uomo.

Un aspetto decisivo infatti che ci insegna la neuropedagogia[6] è quello della plasticità neuronale, cioè, il fatto che il cervello umano é in grado di produrre costantemente neuroni e, soprattutto, connessioni che vengono influenzate dall’esperienza che viviamo anche tramite l’amicizia.

L’amicizia permette lo sviluppo di una capacità fondamentale del cervello, quella della neotenia. Essa è una caratteristica della nostra specie, caratterizzata dal prolungamento della maturazione del sistema nervoso centrale per molti anni dopo la nascita. La natura neotenica dimostra quanto lo sviluppo del nostro cervello avvenga in modo sociale, essendo fortemente condizionato dalla quantità e qualità di relazioni sociali che siamo in grado di stabilire coi nostri simili, a partire dai genitori, amici, conoscenti.[7]

Un contesto decisivo in cui sviluppare l’amicizia e creare tali esperienze è quello della scuola. Già a tre anni i bambini, sono in grado di socializzare come dimostra una recente ricerca condotta dall’università di Edimburgo[8]. Fin dalla nascita, i bimbi sono predisposti a gestire le emozioni che nascono dallo stare insieme con gli altri, essi cercano i pari per giocare e sanno condividere la tristezza altrui; durante, l’infanzia nasce la considerazione per valori quali la fedeltà, la lealtà e la fiducia, che devono essere coltivati nei bambini. La pedagogia deve difatti essere portatrice di Valori autentici quali l’amicizia, l’altruismo, ma, anche il coraggio e la determinazione, il rispetto del lavoro e della scuola che sono la base per formare la persona in ogni suo aspetto. Quei valori che oggi, spesso, vengono bistratti o messi da parte. Già Sartre ci metteva in guardia dall’importanza di recuperare i valori quando ci si rapporta con i giovani. Nella società contemporanea si è diffusa la credenza che i valori della tradizione siano l’opposto della libertà; il grande errore del modo di pensare di oggi è concepire la libertà come immediata e indeterminata. Un compito della pedagogia sta, quindi, nel recuperare l’autorevolezza perduta per guidare gli studenti, i figli, alla scoperta e alla conoscenza del mondo.

Per coltivare l’amicizia occorrono un genuino interesse verso l’Altro e la capacità di ascoltare. Valori che vanno insegnati e trasmessi come ci insegna questa favola orientale.“Molto tempo fa, in Cina, c’erano due amici, l’uno molto bravo a suonare l’arpa e l’altro molto bravo ad ascoltare. Quando il primo suonava o cantava di una montagna, il secondo diceva : “vedo la montagna come se l’avessimo davanti”: quando il primo suonava a proposito di un ruscello, colui che l’ascoltava gli rispondeva ”Odo l’acqua che scorre!”. Ma quello che ascoltava si ammalò e morì. Il primo amico tagliò le corde della sua arpa e non suonò mai più. Da allora, tagliare le corde dell’arpa é sempre stato un segno di grande amicizia”.[9]

 

[1]R. Durban in Quanti amici abbiamo bisogno?, ed. Cortina, 2018
[2]Cfr. R. Durban in Le scienze , Settembre, 2018
[3] Cfr. F.Cappa, Verso una pedagogia degli effetti, Franco Angeli, in particolare J. Ferrarese “Le conflit de l’éducater d’adultes” in La pédagogie contemporaine, a cura J. M. Gabaude, Privat, Toulouse, 1972.
[4]William Bukowski, docente all’ Università Concordia Montreal, Quebec. Ha conseguito una cattedra di ricerca universitaria nello sviluppo per adolescenti. Dal 2008-2016 è stato direttore del Centrede recherche en développement humain. Ha ricevuto nel 2014 il John P HillMemorial Award dalla Society forResearch in Adolescence ed è membro della InternationalSociety for the Study of BehavioralDevelopment .
Cfr.http://crdh.concordia.ca/researchers/William_Bukowski.html
[5]M.Merzenich, professore emerito all’università di San. Francisco. Nel 1999, è stato insignito del National Academy of Scienze per la sua ricerca sulla plasticità neuronale. Viene considerato uno dei più autorevoli neuroscienziati al mondo. Per risentire una sua intervista rilasciata di recente: https://www.agoravox.it/PresaDiretta-la-puntata-di-lunedi,82444.html
[6]Le più moderne tecniche mediche consentono, sempre, di più di conoscere il funzionamento del cervello; sono, ormai, molti i consigli che le neuroscienze cognitive suggeriscono a chi si occupa di didattica. Dall’incontro tra le neuroscienze e l’educazione, sono nati diversi filoni di ricerca che vengono etichettati con il termine” neuropedagogia”; essa integra il sapere sociale-educativo della pedagogia e il sapere biologico della neurologia, alla luce dei processi storici, valoriali, filosofici, morali e spirituali; gli ambiti su cui si sviluppa sono molto articolati e spaziano dallo studio delle abilità di lettura e scrittura, all’apprendimento musicale, alle competenze matematiche.
[7]Cfr. V. Gallese e M. Guerra, Lo schermo empatico: Cinema e neuroscienze, Raffaello Cortina Editore, 2015
[8]Cfr. ricerche condotte da Colwyn Trevarthen, docente di psicologia del bambino all’università di Edimburgo (Regno Unito) https://www.ed.ac.uk/
[9]Questa storia è contenuta nel libro 101 storie Zen, a cura di N. Senzaki e P. Reps, ed. Adelphi, 1973.
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