XIII Summit sulla professione docente/1. Una professione in transizione

Come annunciato nella newsletter della scorsa settimana, il tredicesimo Summit internazionale sulla professione docente, organizzato dall’OCSE e dall’associazione mondiale dei sindacati EI (Education International) si è svolto a Washington dal 25 al 27 aprile, a cura del governo statunitense e del suo segretario federale (ministro) all’istruzione Miguel Cardona. Ai lavori ha partecipato anche il ministro dell’istruzione italiano Giuseppe Valditara, insieme a una delegazione di sindacati composta da Cisl Scuola, Flc Cgil e Anp. Una novità per l’Italia, come spieghiamo nelle notizie successive.

In questa occasione il tema scelto per l’incontro è stato “Il futuro in bilico: il ruolo cruciale dell’insegnamento per l’impegno globale, la sostenibilità e l’accesso digitale” (Poised for the Future: Transformative Teaching for Global Engagement, Sustainability, and Digital Access).

Nella relazione di base, presentata per l’OCSE dallo storico direttore del settore Education and Skills Andreas Schleicher, il primo dei tre capitoli (“sottotemi”) in cui essa è articolata offre un quadro internazionale comparativo della condizione nella quale si trovano oggi gli insegnanti nel mondo. La principale osservazione (sempre fondata su una mole rilevante di dati empirici, anche se alcuni appaiono datati) è che ad attrarre gli studenti più brillanti verso l’insegnamento non è (solo) il fattore retributivo: in Germania i docenti sono strapagati ma pochi giovani vogliono fare questo mestiere, in Finlandia sono pagati poco, ma i più bravi scelgono di insegnare, e solo uno su dieci ci riesce.

Altri fattori non economici ma socioculturali incidono di più sull’attrattività della professione, e il più importante sembra essere il prestigio sociale di cui godono gli insegnanti, il rispetto diffuso per il loro ruolo. Questo fattore incide sulle scelte dei decisori politici, che devono sciogliere il dilemma se sia meglio aumentare gli stipendi dei docenti oppure investire sulla qualità della loro formazione iniziale e in servizio, sul reclutamento selettivo e sulla valorizzazione professionale attraverso la diversificazione delle figure e la prospettiva di una progressione di carriera non legata all’anzianità ma all’arricchimento delle competenze.

Gli altri due sottotemi trattati nei lavori e nella relazione di Schleicher sono stati: 1) la capacità degli attuali sistemi scolastici di offrire ai giovani una solida formazione in materia di conoscenza ed esercizio dei diritti di cittadinanza, in un mondo sempre più globale e interconnesso, nel rispetto degli obiettivi di sviluppo sostenibile stabiliti nell’agenda 2030 dell’ONU, e 2) il ruolo delle tecnologie digitali a sostegno della personalizzazione della didattica e dell’inclusione, una prospettiva che in molti Paesi del mondo (ma in particolare negli USA, dove se ne parla da più tempo) è considerata la nuova frontiera dell’educazione.

Il summit di Washington ha richiamato l’attenzione sul ruolo fondamentale dell’istruzione nel preparare le persone a rispondere alle sfide della società in continua evoluzione. Leader politici, accademici ed esperti hanno discusso su come l’educazione possa evolversi per affrontare le sfide del futuro. Si è sottolineata l’importanza di creare un’educazione trasformativa che sia in grado di preparare le persone a diventare cittadini globali attivi e impegnati nel promuovere la pace e la giustizia, la sostenibilità e l’equità. Ma come?

Gli aspetti chiave che sono emersi, quelli sui quali tutti concordavano (anche all’interno dell’intera delegazione italiana?) sono:

– elevare le competenze degli insegnanti (attraverso la formazione)

– valorizzare i talenti degli studenti attraverso la personalizzazione dei percorsi formativi

– sfruttare le tecnologie al servizio dell’apprendimento (come opportunità per innalzare le competenze trasversali degli studenti)

– creare un curricolo digitale integrato dalla scuola dell’infanzia fino all’età superiori

– puntare sull’importanza delle lingue straniere

Insomma, a livello internazionale c’è un consenso diffuso su questi pilastri. E da noi?

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