Sul velo islamico Italia e Francia sono agli antipodi

Sì al velo islamico in classe. Per le studentesse, e anche per le insegnanti. Il mondo politico italiano sembra quasi unanime in questo orientamento, dal ministro dell’interno Pisanu al presidente del Senato Pera. La vicenda dell’aspirante maestra d’asilo musulmana Fatima Mouayche, alla quale un nido d’infanzia privato dell’estrema provincia piemontese ha negato la possibilità di fare uno stage lavorativo, ha rilanciato in Italia il dibattito sulla laicità dello Stato e l’ammissibilità dei simboli di appartenenza religiosa, già sviluppatosi qualche mese fa a seguito di un’altra storia di estrema provincia, quella del Cristo di Ofena.

E’ singolare che dalle stesse premesse, ancora in questi giorni richiamate dal presidente Pera, (“Lo Stato non ha religione”), in Italia e in Francia si traggano, sempre a grande maggioranza, conclusioni opposte. Quella di Pera è che dunque gli individui “devono avere la libertà di portare i simboli della propria religione”. Quella della legge francese, approvata quasi all’unanimità dal Parlamento d’oltralpe, è che invece gli individui questa libertà non ce l’hanno se i simboli sono “ostentati”. Insomma, lo stesso velo è vietato in Francia e ammesso in Italia.

Paradossale è anche il fatto che in Francia l’uso del velo sia vietato nei luoghi pubblici, scuola in testa, e ammesso negli spazi privati, mentre in Italia, al contrario, viene ammesso nei luoghi pubblici e talvolta vietato di fatto in quelli privati. Come mostra il caso dell’aspirante maestra di Samona, che potrà fare il suo stage nell’asilo comunale (pubblico), dopo il rifiuto di quello privato.