Su lavoro e scuola duello a sinistra

Sabato 25 ottobre si sono tenute a Roma e a Firenze, praticamente in contemporanea e inevitabilmente in concorrenza tra di loro, due iniziative (manifestazione Cgil e meeting della Leopolda) che hanno diviso il popolo della sinistra, o almeno quello formato dai suoi militanti più impegnati: parlamentari, intellettuali, esponenti dell’associazionismo, amministratori locali.

Non aggiungiamo sindacalisti perché, con qualche eccezione, i quadri e gli attivisti della Cgil, il sindacato di riferimento della sinistra storica lungo la linea Pci-Pds-Ds-Pd, non si sono divisi, avendo partecipato in gran parte a uno solo dei due eventi, la manifestazione indetta a piazza San Giovanni dalla loro leader Susanna Camusso contro il ‘Jobs Act’ ma anche contro il governo nel suo complesso. “La giornata di oggi non è solo una fermata”, ha detto Camusso, “la Cgil è pronta a continuare la sua protesta per cambiare il Jobs act e la politica di questo governo anche con lo sciopero generale”.

L’obiettivo della Cgil, e degli esponenti Pd che hanno scelto di essere a piazza San Giovanni anziché alla Leopolda di Firenze (tra i quali Civati, Fassina, Cuperlo), non è sindacale in senso stretto, ma politico. Non mira a trattare, ma a fare opposizione. “Non abbiamo rimpianti sulla concertazione. Per farla bisogna condividere gli obiettivi per il Paese e noi i suoi non li condividiamo”, ha rimarcato Camusso con durezza.

Del tutto allineata a quella della leader della Cgil è la posizione espressa dal segretario della Flc-Cgil Mimmo Pantaleo, che a proposito del progetto di Legge di stabilità ha denunciato “l’incoerenza del governo Renzi: tagli lineari e finanziamenti di alcune voci senza stanziare risorse fresche, ma con il solito gioco delle partite di giro. Con i Governi Berlusconi e Monti pensavamo di aver toccato il fondo. Evidentemente ci eravamo sbagliati”. Nessuna trattativa con questo governo: Andremo avanti con le lotte fino allo sciopero”.

Già. E dopo? Un tempo gli scioperi generali influivano a volte in modo determinante sulle decisioni e sulla stessa vita dei governi. Non si ha l’impressione che quei tempi possano tornare.