Stabilizzare i posti o il personale? La differenza è sostanziale

Davanti ai problemi del precariato, sembrano d’accordo tutti, partiti e sindacati, nel richiedere la stabilizzazione per risolvere (forse) una volta per tutte (ma sembra irrealistico) l’annoso problema della precarietà.

In attesa che le tante richieste ottengano una sostanziale condivisione da parte del ministro Gelmini d’intesa con il collega Tremonti, è forse opportuno chiarire il senso di quella stabilizzazione, una parola che, a quanto sembra, molti interpretano a senso unico.

Nelle scuole italiane, da molti anni, il divario tra organico di diritto e organico di fatto fa sì che all’inizio di ogni anno scolastico vi siano circa 80-90 mila posti provvisori che si aggiungono per varie necessità o per obblighi di legge (es. 30% dei posti di sostegno) a quelli in organico di diritto e che vengono coperti da docenti con contratto a tempo determinato fino al termine delle attività.

A questi si aggiungono circa 20-25 mila nomine per coprire i posti vacanti dell’organico di diritto.

La richiesta è quella di stabilizzare quelle 100-110 mila persone precarie immettendole in ruolo subito (o quasi), visto che comunque la spesa per i loro stipendi resterebbe quasi immutata.

La scuola ha indubbiamente bisogno di stabilità ed è quindi quanto mai necessario che il divario tra organico di diritto e organico di fatto sia praticamente azzerato con una generale stabilizzazione dei posti. E su questi posti, una volta diventati fissi e permanenti nel tempo, si proceda anche ad immettere docenti con contratto a tempo indeterminato.

In proposito la legge prevede che sui posti vacanti e disponibili si facciano nomine per il 50% a favore dei vincitori di concorso ordinario, bloccato da oltre un decennio, e per il restante 50% a favore degli iscritti nelle graduatorie ad esaurimento. Ma se la stabilizzazione dei precari significa, come molti sostengono, che solo gli iscritti nelle graduatorie ad esaurimento occupino subito tutti quei posti, non solo verrebbe ignorata la legge, ma si metterebbe in atto un’azione iniqua verso i giovani laureati che aspettano i concorsi e si negherebbe alla scuola una salutare occasione per riqualificarsi e rinnovarsi.