Sperimentazione, tra falchi e stupore

Gent.mo direttore,

ho letto (e riletto più volte per verificare se fossi sveglio o meno) il Focus n. 133 e devo confessarle che sono stupefatto.

Premetto che mi è toccato, per coerenza con il mio pensiero, avanzare critiche proprio sulla riforma della secondaria e, in particolare, sulla deriva licealizzante. È evidente, però, che la mia posizione critica è diametralmente opposta a quella degli oppositori della Riforma, regioni di Centrosinistra comprese, che vogliono la completa licealizzazione. Una ipotesi, questa ultima, che completerebbe il disastro avviato negli anni ’90 con le sperimentazioni “guidate”, “assistite” e “spontanee” che hanno portato a circa 700 le seconde prove di maturità e che hanno distrutto il nostro sistema di istruzione tecnico-professionale.
Ritengo che le critiche ai Governi, anche a quelli regionali però, siano salutari, in primis per gli stessi Governi. Non sono preoccupato, quindi, per la critica al Governo ma per l’attacco “unilaterale” sul tema della sperimentazione e, soprattutto, sul principio della “leale collaborazione” sul quale dirò brevemente in seguito.

Condivido molte preoccupazioni espresse nel Focus, dalla “tardiva” uscita del decreto al rischio della marginalizzazione del sistema di Istruzione e formazione professionale. Tuttavia, ritengo che questo secondo aspetto non dipenda dalla sperimentazione, anzi sono convinto che l’avvio di un serio processo di innovazione potrebbe favorirne lo sviluppo. Basterebbe, per esempio, analizzare gli esiti dei percorsi triennali realizzati in base all’accordo quadro del giugno 2003.
Dal prossimo anno scolastico/formativo (2006/07) tutte le regioni saranno chiamate a dare continuità ai percorsi triennali, ancorché realizzati in maniera diversa, per garantire ai giovani di poter proseguire negli studi, dando attuazione al decreto 76 del 2004 sul diritto – dovere. Ciò implica che, nel 2007/08, anno di entrata in vigore dei nuovi ordinamenti e di avvio dei percorsi liceali, avremo i nuovi diplomi quadriennali del sistema di istruzione e formazione professionale.

Non si comprendono, pertanto, le posizioni di quelle regioni che sostengono il “divieto” di avviare la sperimentazione dei percorsi liceali dal prossimo anno scolastico. A prescindere dal fatto se sia lecito che una Regione possa vietare ad una scuola autonoma di proporre un progetto di sperimentazione ai sensi dell’articolo 11 del DPR 275/99. Progetto collocato in un quadro definito che ha riferimenti ordinamentali chiari ed indicazioni approvate dal Parlamento. Diversamente si dovrebbe sostenere la revisione del Regolamento sull’autonomia alla luce del nuovo Titolo V. Ma questa eventualità non mi pare che abbia un fondamento giuridico e che sia stata mai presa in considerazione dalle regioni, nessuna esclusa. Anzi, non si perde mai occasione, per enfatizzare l’autonomia delle scuole.

Non si comprendono queste posizioni anche in considerazione del fatto, sempre sottaciuto, che, in sede di Conferenza Unificata, quattro regioni (Lombardia, Veneto, Molise e Sicilia) hanno espresso parere favorevole al decreto legislativo sul secondo ciclo, subordinandolo alla possibilità che dal prossimo anno scolastico possano attivare la sperimentazione dei percorsi liceali. La Lombardia e il Veneto, infatti, hanno iniziato la sperimentazione dei percorsi triennali già dal 2002 e in questo anno in corso hanno già avviato il quarto anno dei percorsi di istruzione e formazione professionale. È evidente l’interesse di queste regioni ad avviare politiche territoriali di governance che consentano una effettiva integrazione in campo educativo e a determinare le necessarie sinergie tra i percorsi sperimentali triennali e i nuovi licei, soprattutto quelli con indirizzi assumendosi le responsabilità istituzionali nelle materie ad esse attribuite con la riforma costituzionale del Titolo V. Interesse che mi parrebbe utile per tutte le altre regioni e soprattutto per l’Emilia Romagna che ha provocato la sentenza della Corte Costituzionale del gennaio 2004.

Il processo di concertazione istituzionale, previsto dal decreto del secondo ciclo agli articoli 27 e 28, va sostenuto nella direzione dello sviluppo dei processi di innovazione. Legare, cioè, riforma e processi di innovazione. Vedere la realtà nella logica di processo e nel quadro del disegno sistemico. Perché, da un lato, la riforma da sola non produce innovazione e, dall’altro, l’innovazione non può prescindere da un quadro di riferimento comune. Vedere l’integrazione al di fuori di un processo di governance territoriale, basata sull’integrazione delle politiche pubbliche e sull’autonomia delle istituzioni scolastiche, porta alla parcellizzazione delle azioni e delle stesse politiche perché verrebbe a cristallizzare le differenze, perdendo di vista il tutto.
L’autonomia e la partecipazione della “scuola reale” sono apparsi e continuano ad apparire strumentali per sostenere posizioni contrarie al processo riformatore, quello della legge 53 come dei precedenti tentativi. L’autonomia “contro” e non l’autonomia per migliorare e sostenere il processo di cambiamento. L’autonomia può essere valorizzata, invece, se essa è esercitata nella fase di implementazione dei processi di riforma sugli snodi più controversi e delicati e che abbisognano di essere monitorati e valutati.

La legge 53 introduce elementi per l’esercizio dell’autonomia con l’indicazione degli obiettivi specifici di apprendimento rispetto ai quali le istituzioni autonome sono chiamate a redigere il Piano dell’offerta formativa. Questo è sicuramente un terreno tutto da esplorare. Un terreno di indagine di competenza diretta delle scuole e sul quale esse possono dare un contributo fondamentale.
Perché è solo sul terreno dei processi che le istituzioni scolastiche esprimono il proprio potere di autonomia esercitando un ruolo attivo nella riforma. Solo così l’innovazione non è velleità autonomistica ma lavoro che si realizza in un quadro di riferimento certo e unitario.
Mi permetto di suggerire alla Sua rivista di avviare una riflessione su questi temi perché, mi creda, ancora non è chiaro cosa sia un “obiettivo specifico di apprendimento”. Quanto meno ci sono pareri divergenti. Le critiche fatte alle indicazioni, per esempio, quando dicono che appaiono ancora connotati come programmi piuttosto che come obiettivi di apprendimento non è priva di fondamento. Raramente, però, a queste critiche è seguita una proposta.

Infine Le chiedo scusa ma voglio precisare alcuni aspetti sul rapporto Stato Regioni. Non vorrei apparire come uno strenuo difensore governativo ma qualche precisazione mi pare utile.
Mi ha sorpreso che un’attenta rivista come quella che Lei dirige si sia fatta “prendere la mano” denunciando una sorta di “arroganza istituzionale governativa” ( “i falchi”) nei confronti delle Regioni non vedendo che, forse, c’è stata, da parte delle regioni di Centrosinistra, in particolare, un’altrettanta se non maggiore “arroganza istituzionale”.
Ho avuto il piacere / dispiacere di partecipare (come osservatore) alle sedute della Conferenza unificata nelle quali si è discusso del secondo ciclo e dei due decreti che il Ministro ha firmato la scorsa settimana: sulla confluenza dei titoli e sulla quota dell’autonomia. Ebbene, gentile direttore, le regioni governate dal Centrosinistra hanno espresso parere contrario al decreto, perché contrarie alla riforma, nonostante siano stati inseriti due articoli “pesanti” relativi all’avvio (finalmente) della fase di definizione delle competenze e delle responsabilità istituzionali, gli art. 27 e 28. È stata rifiutata anche la votazione separata dei due articoli, richiesta dal Governo come segnale di apertura di dialogo. Un errore politico grave, a mio modestissimo avviso, che si è ritorto contro le regioni stesse. Cosa sarebbe successo se le Regioni avessero votato a favore dei due articoli? Bella domanda. Il Parlamento avrebbe reagito nello stesso modo? Chissà!
Nei mesi di novembre e dicembre i provvedimenti sull’autonomia e sulla confluenza dei titoli sono stati “portati” in Conferenza e le Regioni di Centrosinistra si sono rifiutate di discuterli. Si, caro direttore, si sono rifiutate di discuterli, dicendo chiaramente che in caso contrario il Ministro avrebbe potuto dare seguito alle indicazioni del Parlamento. Si, avrebbe potuto dare seguito a disposizioni votate dal Parlamento. Pensi un po’ il vulnus democratico. Quindi non risponde a verità quanto affermato nella news: “la definizione, anch’essa unilaterale, delle tabelle di confluenza dei titoli..”. E devo dirle, con franchezza, che il rifiuto è stato accompagnato da una buona dose di “arroganza istituzionale”.

Chi era presente in quella Conferenza, di sicura e indiscussa cultura democratica, e come me assisteva, avrebbe fatto bene a riflettere sul grado di “arroganza istituzionale” di chi sosteneva una simile posizione.
Mi limito a constatare che nel nostro beneamato Paese il Parlamento conta sempre meno e, invece, assistiamo ad un progressivo aumento del corporativismo (anche istituzionale ahimè!) e all’uso “improprio” delle istituzioni.

Dove stanno i falchi? Stanno dalla parte di chi, anche sbagliando, si pone il problema di rendere il nostro sistema educativo più efficiente e capace di rispondere ad una domanda diffusa di formazione espressa dalla società o da chi pensa che il passato sia da conservare comunque e che il cambiamento sia pericoloso e foriero di sventure?
Mi sbaglierò, non avrò capito bene, ma ho sempre avuto l’impressione che la Sua rivista si sia sempre coloocata nel primo gruppo. Le Regioni di Centrosinistra, per la precisione, fanno parte, con tutta evidenza, del secondo.

Per queste ragioni credo che la Sua rivista possa svolgere un ruolo importante e significativo lavorando sui processi. Favorire, cioè, la riflessione pedagogica, didattica e organizzativa che possa consentire al nostro sistema educativo di risollevarsi dalla crisi nella quale versa. Prima che diventi irreversibile.
Ci conto molto.

Con stima

Domenico Sugamiele

 

La risposta di Tuttoscuola:

Domenico Sugamiele, stretto collaboratore del sottosegretario Valentina Aprea, si dichiara “stupefatto” per alcune valutazioni espresse dalla nostra newsletter della scorsa settimana (TuttoscuolaFOCUS n. 133/230).

In particolare il prof. Sugamiele non condivide l’accenno al carattere “unilaterale” dei decreti sulle quote di autonomia e sulla confluenza dei titoli. “Mi ha sorpreso che un’attenta rivista come quella che Lei dirige si sia fatta ‘prendere la mano’ denunciando una sorta di ‘arroganza istituzionale governativa’ (“i falchi”) nei confronti delle Regioni non vedendo che, forse, c’è stata, da parte delle regioni di Centrosinistra, in particolare, un’altrettanta se non maggiore “arroganza istituzionale“.

Afferma Sugamiele (che era presente agli incontri) che “nei mesi di novembre e dicembre i provvedimenti sull’autonomia e sulla confluenza dei titoli sono stati portati in Conferenza e le Regioni di Centrosinistra si sono rifiutate di discuterli (…)”. Sono state le Regioni quindi a mostrare ‘arroganza istituzionale’. I “falchi” pertanto stanno da quella parte, e non anche sul versante ministeriale (“di chi, anche sbagliando, si pone il problema di rendere il nostro sistema educativo più efficiente“), come affermato dalla newsletter.

Va notato a riguardo che dalla lettura del verbale della seduta della Conferenza si evince l’esatta portata della posizione assunta dalle Regioni, tesa a rivendicare tempi distesi per l’approfondimento delle questioni sulle quali non si è mai registrato un confronto di merito.

Concludendo la sua lettera a “Tuttoscuola“, Sugamiele dichiara di “credere che la rivista possa svolgere un ruolo importante e significativo lavorando sui processi. Favorire, cioè, quella riflessione pedagogica, didattica e organizzativa che possa consentire al nostro sistema educativo di risollevarsi dalla crisi nella quale versa“. Bene, è proprio quello che ci sforziamo di fare, ma in modo equanime.
Nel ringraziare per la stima, siamo anche noi un po’ “stupefatti” che Sugamiele non se ne accorga…

Giovanni Vinciguerra