
Simona Molinari: ‘Sogno una scuola in cui tutti possano imparare a conoscersi’

Simona Molinari, interprete napoletana, è pronta per suo debutto a Pisa il prossimo 27 giugno con il suo spettacolo “La donna è mobile” che promette di essere un evento che va oltre la semplice performance artistica. Con la sua presenza scenica e il suo profondo impegno sociale, Molinari si prepara ad affrontare una delle tematiche più delicate e urgenti del nostro tempo: la disparità di genere nel mondo della musica.
Accolta con entusiasmo su “Tuttoscuola”, Simona ha condiviso con il pubblico la genesi di questo progetto che nasce da un’urgenza sentita, quella di dar voce a una realtà spesso ignorata. L’obiettivo è chiaro: sfidare gli stereotipi di genere e mettere in luce le difficoltà che le donne affrontano per farsi strada in un settore dominato da parametri maschili. Attraverso un viaggio emozionante e riflessivo, Simona intende non solo intrattenere, ma anche stimolare una profonda riflessione sul ruolo della donna nella musica e, più in generale, nella società.
“La donna è mobile” è più di uno spettacolo; è un invito a ripensare e a riconsiderare le narrazioni che ci sono state imposte, a celebrare le voci femminili che, nonostante le avversità, hanno contribuito a plasmare il panorama musicale. In questo percorso, Simona spera di ispirare una nuova generazione di artisti e spettatori a lottare per un futuro più equo e inclusivo.
La cantante immagina una scuola ideale dove ogni studente possa esplorare e comprendere la propria individualità e socialità, esprimendosi liberamente. Questa scuola valorizza la creatività al pari della logica e promuove l’ascolto oltre che il dialogo. Non è solo un luogo di passaggio, ma una palestra di umanità, dove la musica, il teatro e la danza sono componenti essenziali del curriculum educativo. Inoltre, sogna insegnanti appassionati e supportati, riconosciuti come i primi veri “maestri di vita”.
Benvenuta Simona. Il 27 Giugno debutterai a Pisa con “La donna è mobile”. In questo spettacolo affronti il tema della disparità di genere nel mondo della musica. Secondo te, quali sono i fattori principali che contribuiscono a questa disparità e come pensi che il tuo spettacolo possa influenzare la percezione del pubblico su questo argomento?
“Grazie di cuore per l’invito. “La donna è mobile” nasce da un’urgenza profonda: raccontare, con delicatezza ma anche con forza, una realtà ancora troppo viva — quella di una donna che, nel mondo della musica, deve spesso lottare per ottenere la stessa dignità artistica riconosciuta più facilmente ai colleghi uomini. Esistono stereotipi radicati che continuano a influenzare la percezione dell’artista donna: prima si guarda alla sua immagine, poi – forse – alla sua arte. Il vero problema è che, col tempo, anche molte donne finiscono per interiorizzare questa narrazione. Iniziano a credere che il loro valore passi principalmente dall’apparenza, e si comportano di conseguenza. C’è una profonda confusione tra contenuto artistico e intrattenimento commerciale, tra espressione e mercato. Nel nostro ambiente, le voci femminili sono ancora troppo rare nei ruoli decisionali, e spesso i criteri per “meritare” un palco sono costruiti su parametri maschili. Questo crea un filtro che rende più difficile l’emersione di uno sguardo autenticamente femminile. Con questo spettacolo voglio invitare il pubblico a riflettere, ma anche a emozionarsi, a mettere in discussione automatismi radicati. Ripercorrere l’evoluzione della figura femminile nella musica, passo dopo passo, e le difficoltà che ha dovuto affrontare, significa restituire dignità, memoria e valore alle tante artiste che ci hanno aperto la strada — spesso in silenzio”.
Ci sono state sfide che hai affrontato nel mondo della musica? Se sì, come sei riuscita a superarle?
“Ho spesso incontrato pregiudizi, aspettative e etichette legate al mio genere. Ho creduto per molto tempo che il mondo fosse qualcosa da accettare così com’è, immutabile. Sono cresciuta educata all’obbedienza, alla rassegnazione e all’adattamento. Per anni ho accettato di essere esclusa dai luoghi in cui si decideva del mio percorso artistico. Mi limitavo a dire no quando le condizioni erano inaccettabili. Pensavo che dire no fosse già una forma di rivoluzione. Ho costruito molte delle mie scelte partendo da ciò che rifiutavo. Solo di recente ho iniziato a costruire la mia vita partendo da ciò che desidero. È stato un percorso: il tempo e le esperienze ti plasmano, e ogni dose di dolore è un gradino salito nella scala della consapevolezza e della comprensione del mondo. Oggi, da questa nuova prospettiva, il panorama è più ampio e più bello. La memoria delle fatiche passate mi spinge a continuare a salire. Credo che, in ogni ambito, ciò che ci salva davvero sia l’amore. Nel mio percorso, è stato l’amore per la musica a tenermi ancorata a me stessa: un amore più forte di quello per i numeri o per la popolarità, che invece ti lega a un’immagine ideale e fittizia di te, destinata a dissolversi e a logorarti. È un lavoro continuo, e la gratificazione finale non risiede nel compiacersi di ciò che si è, ma nel sapere di poter offrire sollievo e ispirazione a chi ti ascolta. In fondo, amare è un verbo attivo e transitivo”.
In che modo pensi che la scuola possa influenzare la formazione di un artista e quali cambiamenti vorresti vedere nel sistema educativo per supportare meglio i giovani talenti musicali?
“L’educazione scolastica è fondamentale, perché può accendere una scintilla. Se un bambino incontra la musica a scuola in modo stimolante e creativo, quella passione può durare tutta la vita. Purtroppo, oggi l’educazione musicale è ancora troppo marginale. Vorrei vedere più spazio alla musica dal vivo, più strumenti nelle scuole, più ascolto e meno nozionismo. La musica è un linguaggio universale, e dovrebbe essere trattata come tale. Servirebbero insegnanti ispirati, corsi integrati, laboratori artistici… L’arte va vissuta, non solo studiata”.
Come immagini la scuola del futuro? Che scuola sogni per i giovani?
“Sogno una scuola dove ogni ragazzo e ragazza possa imparare a conoscere sé stesso nella propria individualità e poi nella propria socialità, e che poi si senta libero di esprimere ciò che è. Una scuola dove la creatività sia valorizzata tanto quanto la logica, dove si impari ad ascoltare oltre che a parlare. Una scuola che non sia solo un luogo di passaggio, ma una palestra di umanità. Vorrei che la musica, il teatro, la danza, fossero parte integrante del percorso educativo, non solo “attività extra”. E sogno insegnanti appassionati, supportati, non lasciati soli. Perché sono loro, spesso, i primi veri ‘maestri di vita’”.
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