Similitudini

In Rue Belliard a Bruxelles è stata inaugurata nello scorso anno, su iniziativa delle Istituzioni europee, la “Casa della storia europea”, una sorta di Museo di memorie che accompagnano il visitatore a percorrere tappe significative della storia dell’Europa. L’esposizione consente di riflettere sull’esperienza vissuta dall’Europa nel passato, ma anche di cogliere i tratti del modo di essere dei popoli europei in una prospettiva di futuro da costruire unitariamente.

La storia ancora una volta come cattedra, per misurare e valutare i passi che facciamo nel presente per progettare un comune percorso in grado di non sprecare quel tanto di identità europea che dovrebbe custodire il meglio del passato vissuto dai popoli di questo Continente.

Il problema è che periodicamente sbagliamo la lettura delle pagine di storia. Se così non fosse, non commetteremmo l’errore di dimenticare di non tener presenti i moniti che all’Europa sono venuti tempo addietro dagli scritti di un suo eminente testimone: Thomas Mann. Sono suoi i saggi scritti a partire dagli anni trenta del secolo scorso e i discorsi pronunciati ai cittadini tedeschi dall’ottobre 1940 al maggio 1945.Saggi e discorsi ripresi ora in un volume rieditato nel 2017 e che porta il titolo “Moniti all’Europa”, con una introduzione di G. Napolitano.

La sollecitudine a una rilettura degli scritti di Mann è giustificata dall’importanza di uno dei saggi, forse il più significativo, compreso nel volume e che ha come titolo “Attenzione Europa”. È forte e alto il richiamo, sensibilmente ammantato da nostalgica memoria, che il grande pensatore tedesco fa a valori (cultura, spirito, arte, idea) che la “volgare trivialità primitiva democratico-plebea” aveva calpestato. Di fronte all’avanzare di masse incolte, grossolanamente guidate e governate più dalla propaganda che dall’educazione (si paventa ormai l’avvento e l’affermarsi di movimenti nazional-populisti), Mann invoca il ritorno di un “Umanesimo militante, che scopra la propria virilità e si saturi della convinzione che il principio della libertà, della tolleranza e del dubbio non si lascino sfruttare e sorpassare da un fanatismo che è senza vergogna e senza dubbi”.

Umanesimo militante e virile! Cosa vogliono dire queste parole, di là dai toni declamatori che vengono usati talvolta per magnificarle? C’è, intanto, sempre il sospetto che esse si riferiscano ad un passato del quale ci riteniamo solerti custodi: ma sì, si tratterebbe di riverniciare un tipo di civiltà, meglio se antica, alla quale riferire i famosi valori che sono a difesa della dignità dell’uomo. Non c’è alcun dubbio che a questo, in fondo, si tenda quando ci si pone a difesa di un Umanesimo che sembra smarrirsi nelle coscienze individuali e collettive. Tuttavia, è bene anche che se ne discuta in termini di novità. Lo fa bene Hannah Arendt, della quale si ricorda il pensiero secondo il quale “l’essere umano si definisce per la sua capacità di inaugurare, di far sbocciare progetti, di riuscire a suscitare entusiasmi da questo nulla arido e polveroso in cui ci troviamo”.

La Arendt svolge queste osservazioni nel volume in cui traccia le origini del totalitarismo (stalinismo, nazifascismo) rilevandone la capacità di organizzare a tale scopo le masse; non è dissimile la sua analisi da quella fatta da Mann. L’attuale fase che attraversa l’Europa, tra crisi economiche e incapacità di governarle a vantaggio della lotta alle disuguaglianze sociali non può non allarmare, quando si guardi ai fenomeni di rivendicazioni, di protesta e di destabilizzazione istituzionale in atto. Ecco perché la riscoperta di un “Umanesimo militante e virile” diviene indispensabile in una dimensione culturale europea che voglia riappropriarsi della capacità di garantire l’osservanza e l’attuazione dei fondamentali principi che sono alla base della tutela giuridica e sostanziale della dignità della persona, di ogni persona.

L’unico modo per scongiurare quel nulla in cui sembra precipitare oggi una parte di Europa, sotto l’urto di masse chiuse nei recinti della protesta, dell’esclusione e dell’intolleranza, è quello di rimuovere drasticamente le cause che danno origine alle iniquità e al malessere collettivo. Se non si opera così, il prezzo da pagare sta – come osserva un grande economista, J. Stiglitz – nell’inefficienza, nell’instabilità e nel rischio di una democrazia messa in pericolo.